"Il culto delle reliquie, derivante dalle onoranze per i defunti, è oggi raccomandato ma non imposto dalla Chiesa. Il Concilio di Trento nella sua venticinquesima sessione lo emendò dagli eccessi e il Concilio Vaticano II così si espresse: "La Chiesa, secondo la sua tradizione, venera i Santi, le loro reliquie autentiche e le loro immagini". Le reliquie sono i resti mortali dei santi canonizzati o dei beati venerati o anche gli oggetti a loro collegati come: strumenti di martirio, vesti, utensili che sono tanto più preziosi quanto più stati a contatto con il vivente. Tra le reliquie corporali si distinguono le Insigni
Nei primi secoli la Chiesa romana fu contraria alla traslazione e alla manomissione dei corpi dei santi che venerava in basiliche costruite sulle loro tombe. Alle continue richieste di chi desiderava possedere dei resti sacri, rispondeva donando reliquie ex contactu, cioè pezzi di stoffa messi a contatto con le tombe venerate o con oli che ardevano nei santuari. Le basiliche cimiteriali, divenute insicure per le incursioni barbariche, depredate d'alcuni corpi santi da Astolfo re dei Longobardi per la città di Pavia, vennero abbandonate e le salme traslate nelle chiese della capitale. Nel collocare i resti dei santi nelle nuove tombe, a volte, si separava la testa o altre parti dal corpo per venerarli in diversi luoghi, tra questi il più famoso fu, dai tempi di S. Leone III (795-817), la cappella di S. Lorenzo nel patriarchio del Laterano. Dopo centinaia d'anni d'oblio solo nel XVI secolo, grazie anche all'interesse suscitato da S. Filippo Neri, negli antichi cimiteri cristiani vennero riprese le ricerche di reliquie. Si riesumarono "corpi santi", "martiri inventi" che venivano trasferiti nelle chiese della città. Il ritrovamento nei loculi di semplici balsamari o d'epitaffi recanti simboli di fede erano sufficienti, per la metodica dell'epoca, come prova dell'avvenuto martirio. Grazie a Pio XI che istituì, nel 1925, il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana oggi si ha il massimo rigore scientifico e storico nel riconoscere i martiri dai semplici cristiani sepolti negli antichi cimiteri.
Le reliquie custodite nelle chiese di Roma costituiscono un'altra incommensurabile ricchezza della nostra città che, nonostante le varie vicissitudini storiche, ha saputo salvaguardare. Il presente scritto non vuole solamente riscoprire e catalogare questa eredità, ma ambirebbe raggiungere lo scopo di liberarla da quella sorta di "velatura" della sua memoria, formatasi in epoca recente, che tende a negarla per mancanza di documentazione comprovante l'effettiva presenza di reliquie in quel particolare luogo sacro.
Per questa ricerca mi sono principalmente avvalso di tre opere:
1 - Xavier Barbier de Montault, l'année liturgique a Rome, edita da Spithover nel 1870, che redige l'Inventaire des pricipales reliques de chaque église, capitolo fondamentale, citato per brevità "Inventario 1870".
2 - Il Diario Romano per l'anno del Signore 1926, Tipografia Poliglotta Vaticana, opera nella quale vengono segnalate tutte le cerimonie dei Santi e l'esposizione delle loro reliquie a Roma.
3 - Placido Lugano, le Sacre Stazioni Romane, Libreria Editrice Vaticana 1960, seconda edizione postuma di dodici anni. In quest'ultimo scritto, menzionato "P. Lugano 1960", vi è l'elenco delle reliquie insigni possedute dalle basiliche.
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Giovanni Sicari"
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Dal sito del CICAP riprendo questo articolo:
"Valeva la pena di parlarne. Il Dizionario critico delle reliquie e delle immagini miracolose1 di Collin de Plancy, oggetto della mia tesi di laurea, ha suscitato interesse tra il pubblico del VI convegno nazionale del Cicap. La sessione di poster "L'insolito all'Università" ha così consentito agli interessati di storia del paranormale religioso di discutere su questo testo poco conosciuto e oggi molto difficilmente reperibile. Ma che cos'è il Dizionario critico delle reliquie e delle immagini miracolose2? Si tratta di un vasto repertorio alfabetico, pubblicato a Parigi negli anni 1821-22, degno della migliore tradizione enciclopedica settecentesca, che elenca tutte le reliquie e le immagini miracolose esistenti o esistite in Europa fino a quegli anni, corredato di aneddoti e informazioni sui culti sviluppatisi al loro cospetto e sui racconti prodigiosi ad esse relativi.
Un'overdose di reliquie, quindi, di spoglie mortali di santi, di parti di esse e dei più svariati oggetti che si pretendeva fossero appartenuti a Gesù, alla Vergine, ai santi o semplicemente che avessero avuto un minimo di contatto fisico con loro. Un'overdose di immagini, soprattutto mariane, alle quali, al pari delle reliquie, si attribuivano poteri miracolosi di diverso genere. Emerge la testimonianza di una religiosità di gusto necrofilo che l'autore, erede dei lumi del XVIII secolo, si propone di arginare inducendo il lettore alla riflessione razionale e al senso critico. Un proposito che egli persegue informando su tutte le assurdità legate a tali culti, come l'esistenza di una stessa reliquia in svariati luoghi diversi o rimarcando il gusto macabro o l'origine pagana soggiacente a molti aspetti di questa discutibile forma di religiosità, che egli considera completamente estranea al messaggio evangelico.
Per farci un'idea circa lo stile e il contenuto del Dizionario delle reliquie, diamo la parola a Collin de Plancy:
Macabri feticci di dubbia origine, insomma, che presentati tutti insieme in un così vasto archivio non possono evitare di farci riflettere. Pensiamo, ad esempio, al racconto evangelico di S. Giovanni Battista e teniamo conto che, per secoli, esso fu tenuto vivo nel ricordo dei fedeli non solo tramite l'esposizione di una quindicina di teste, che Collin de Plancy rintraccia in alcune chiese europee, ma anche tramite parti distaccate, la cui enumerazione non può che suscitare disgusto:
Il nostro autore delega quindi alle persone "illuminate" 9 il compito di diffondere un'informazione seria, egualitaria e rispettosa della dignità di ogni essere umano. Quest'ultimo, in sostanza, è il messaggio del Dizionario delle reliquie, un ideale democratico difficile da accettare per coloro che cercavano di governare la società francese dei primi decenni del XIX secolo promuovendo l'ideologia di una necessaria Restaurazione politica e religiosa dopo gli sbandamenti della Rivoluzione e dell'Impero. Un ideale col tempo rinnegato anche dallo stesso Collin de Plancy che, dopo circa vent'anni dalla pubblicazione del Dizionario delle reliquie, si converte ad un Cattolicesimo obbediente e acritico, diventando in questo modo strenuo difensore di tutto ciò che aveva precedentemente criticato. La sua scrittura diventa così paladina delle gerarchie ecclesiastiche del suo tempo e produce molte opere a difesa dei concetti di autorità e di tradizione.
Viene da chiedersi quanto questa conversione possa considerarsi sincera... Di fatto, indagando sulla biografia dell'autore, emerge che, dopo la pubblicazione del Dizionario delle reliquie, egli dovette affrontare alcuni problemi seri, tra i quali un processo, subito proprio per aver pubblicato tale opera. Nel frattempo, la Francia e l'Europa in genere vedevano uno straordinario revival della magia nonché la diffusione di gruppi esoterici e sette sataniche che sembravano potenzialmente capaci di sostituire la religione cristiana tradizionale con una accozzaglia di superstizioni di vario genere."L'uomo ha bisogno di fede, se rifiuta la vera cade nell'altra" 10, dichiara Collin de Plancy convertito, giustificando così il suo impegno per la causa cattolica.
Ma al lettore di oggi nulla offrono le sue opere di convertito.
La conversione di Collin de Plancy lascia perplessi se si tiene conto che il Dizionario delle reliquie non aveva lo scopo di demolire la fede cristiana, ma anzi, di restituirla alla lettera del Vangelo, depurandola da tutti quei culti feticisti, superstiziosi e assurdi che la inquinavano.
In ogni caso, lasciando da parte i dubbi sulla sincerità della conversione del suo autore, il Dizionario delle reliquie resta un documento che ancora oggi parla al lettore, donandogli elementi utili per uno sguardo disincantato sul paranormale religioso e proponendo un'etica umanistica che non necessita di dogmi e di miracoli. Un messaggio più che mai attuale, che eleva la razionalità a valore assoluto, irrinunciabile e trasversale a ogni fede o ideologia, unica porta di accesso verso un effettivo progresso scientifico e ideologico.
Fa parte del CICAP Gruppo Lombardia
Bibliografia
Collin de Plancy. 1821-22. Dictionnaire critique des reliques et des images miraculeuses. Paris. Guien.
(1) Collin de Plancy. 1821-22. Dictionnaire critique des reliques et des images miraculeuses. Paris. Guien.
Nel seguito dell'articolo, per brevità, ci riferiremo a quest'opera in termini di Dizionario delle reliquie.
Ibidem, Vol. I, p. 10
Ibidem, Vol I, p. 305
Ibidem, Vol. II, p. 28
Ibidem, Vol I, p. 348
Ibidem, Vol. II, p. 68
Ibidem, Vol. I, pp. 203-204
Ibidem, p. LVIII
Collin de Plancy. 1864. Légendes des commandements de Dieu. Paris. Plon. (p. 6)"
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Le Reliquie della Passione del Signore furono conservate e venerate per più di un millennio nella cappella semisotterranea dedicata a S.Elena, l'anziana madre dell'imperatore Costantino, alla quale - secondo la tradizione - si deve il ritrovamento della Croce di Gesù.
L'attuale "Santuario della Croce" è stato ricavato nell'antica Sacrestia della Basilica su progetto dell'architetto Florestano Di Fausto.
L'idea sottesa all'opera è quella del pellegrinaggio al Calvario meditando il mistero della Passione e Morte di Gesù, tema efficacemente espresso dai simboli lungo il percorso:varcato l'ingresso - in fondo alla navata di sinistra della Basilica - si entra subito nel clima meditativo davanti alla teca con la "Pars Crucis Boni Latronis"; poi una gradinata conduce al Vestibolo attraverso una porta a forma di croce: salendo i gradini si ripercorre la Passione di Gesù con le Stazioni della Via Crucis (in 14 gruppi bronzei di Giovanni Nicolini) alternate a citazioni tratte dal Nuovo Testamento e dalla Liturgia del Venerdì Santo; infine, dal Vestibolo e al di là di un'iconostàsi, si giunge alla visione delle Reliquie, custodite in sei preziosi reliquiari, realizzati del tutto o in parte nel corso dell'800 per sostituire quelli antichi confiscati nel 1798 dalla Repubblica Romana.
E' tradizione antichissima che una parte della Croce del Signore sia stata portata a Roma e venerata nella Basilica Sessoriana.
Lo attestano le fonti tardo-antiche e medioevali e ne danno conferma gli antichi rituali delle funzioni papali, che fissano l'Adorazione della Croce il Venerdì Santo in Hierusalem: il Pontefice in persona procedeva scalzo dalla Basilica Lateranense e processionalmente, con il clero e il popolo, andava alla Basilica Sessoriana per adorarvi il Legno della vera Croce.
Pur essendo una reliquia così antica, dunque, può presentare numerosi documenti che attestano la sua invenzione, traslazione, conservazione e venerazione.
E' probabilmente quello di cui parla Gregorio di Tours : S.Elena, nel tornare dalla Palestina, trovando il mare molto agitato, fece immergere in acqua uno dei chiodi della Crocifissione e al suo contatto il mare si calmò.
E' da sempre annoverato tra le Reliquie Sessoriane e, insieme a quello di Milano, è tra quelli più anticamente documentati.
Chiusa in una cassettina con il sigillo del card. Caccianemici - titolare di S.Croce e poi papa col nome di Lucio II (1144-45) - era stata murata ab antiquo nell'arco che separa il transetto dalla navata centrale.
Nell'antichità le reliquie venivano spesso messe in alto nelle chiese per preservarle dai furti, ma nel caso del Titolo pare se ne fosse persa memoria, poiché erano cadute le lettere musive che ne indicavano la collocazione.
La notizia del ritrovamento fece molto scalpore all'epoca, anche perché coincise con la riconquista spagnola di Granata, ultima roccaforte degli Arabi in Occidente. Papa Alessandro VI il 29/7/1496 emise la bolla Admirabile sacramentum con cui autenticava il ritrovamento del Titolo e concedeva l'indulgenza plenaria a coloro che avessero visitato S.Croce l'ultima domenica di gennaio.
Nel 1270, poi, l'ebbe S. Luigi Re di Francia, che la pose nella Cappella del Palazzo Reale. Successivamente passò alla chiesa abbaziale di S.Dionigi (1791) e infine nel 1806 fu trasferita a Notre Dame, dove è conservata tuttora. E' priva di spine che invece sono sparse in molte chiese.
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La Testa di Santa Caterina è certamente la reliquia più importante ed è conservata nella cappella dedicata alla Santa posta nella basilica di San Domenico di Siena. Fu staccata dal corpo della mantellata senese nel 1381 per volere di Papa Urbano VI; la borsa in seta che contenne la Testa durante il viaggio da Siena a Roma è conservata nella celletta di Santa Caterina presso la Casa-Santuario dove sono conservati anche il pomo del bastone sul quale era solita appoggiarsi e la lampada per recarsi di notte allo Spedale di Santa Maria della Scala a svolgere l'opera di infermiera volontaria.
Per quattro anni la testa rimase chiusa in un armadio della sacrestia di San Domenico, ma una volta che il Concistoro della Repubblica venne a conoscenza del fatto, dette ordine di tributare onori pubblici alla preziosa reliquia. Così il 5 maggio 1385 una imponente processione, condusse la
reliquia in San Domenico partendo dalla chiesa dell'Ospedale di San Lazzaro, fuori Porta Romana. Chiudeva la processione un gruppo di Mantellate di san Domenico e Lapa, la madre di Caterina.
Un'altra importante reliquia è il dito conservato anch'esso nella Basilica di San Domenico; con questa reliquia viene impartita la benedizione all'Italia e alle Forze Armate nel pomeriggio della domenica che si tengono le Feste internazionali in onore di Santa Caterina da Siena. Questa reliquia, insieme alle cordicelle con le quali la mantellata senese era solita disciplinarsi e al busto in bronzo che per tanti anni ha contenuto e protetto la testa, è conservata nella teca posta nella parete
destra della Basilica di San Domenico, teca che attualmente è stata tolta per far posto ad un'altra, di artistica realizzazione, opera dell'architetto senese Sandro Bagnoli, dove troveranno migliore collocazione sia il dito che le altre reliquie della Santa; questa realizzazione è dovuta alla sensibilità dimostrata dalla dottoressa Laura Martini della Soprintendenza dei beni artistici di Siena e Grosseto e alla perseveranza del parroco Padre Alfredo Scarciglia.
Un piede della Santa è conservato nella Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, la stessa chiesa dove riposa fra' Tommaso Caffarini autore della Legenda Minor.
Era presente nel Duomo di Siena anche una costola della Santa, essa però fu donata al santuario di Santa Caterina ad Astenet in Belgio costruito nel 1985 per volontà dei Caterinati di quel paese.
Anche il Santuario ha la sua reliquia; essa è una scaglia di una scapola di Caterina. E' conservata ed è ben visibile, in una urna scavata nel muro a sinistra dell'altar maggiore dell'Oratorio del Crocifisso. Nella teca vi è una testina in cera raffigurante la Santa. Questa reliquia è stata
donata al Santuario dalla professoressa Lidia Gori, caterinata e figlia del professor Giulio Gori il quale, nel 1931 insieme ai professori Mazzi, Raimondi, Lunghetti e Londini operarono una ricognizione sulla reliquia della Sacra Testa, ricognizione voluta dall'allora podestà Fabio Bargagli
Petrucci.
Al 1931 risale anche il reliquiario che contiene la Testa oggi; esso è in argento decorato a smalto opera dell'orafo fiorentino David Manetti che lo realizzò su disegno di Angelo Giorgi, noto argentiere. Il prezioso reliquiario in stile gotico fu donato dai Padri Domenicani di San Marco di Firenze ai Padri Domenicani di Siena.
(f.to Franca Piccini)
Nell'ottobre del 1381 il Papa Urbano VI dette il permesso di staccare dal busto la testa di Santa Caterina, la quale venne affidata a due frati senesi, Tommaso della Fonte e un altro, che la portarono a Siena in segreto.
La borsa in seta che contenne la Testa durante il viaggio da Siena a Roma è conservata nella celletta di Santa Caterina presso la Casa-Santuario.Per quattro anni rimase chiusa in un armadio della sacrestia di San Domenico, ma una volta che il Concistoro della Repubblica venne a conoscenza del fatto, dette ordine di tributare onori pubblici alla preziosa reliquia. Così il 5 maggio 1385 una imponente processione, condusse la reliquia in San Domenico partendo dalla chiesa dell'Ospedale di San Lazzaro, fuori Porta Romana. Chiudeva la processione un gruppo di Mantellate di san Domenico e Lapa, la madre di Caterina.
Nella notte tra il 3 e il 4 dicembre del 1531, la Sacra Testa rischiò di
essere distrutta; infatti nella chiesa di San Domenico scoppiò un violento
incendio; solo il coraggio di fra' Guglielmo da Firenze mise in salvo la
reliquia, infatti il frate si avvolse in un lenzuolo bagnato e si gettò tra
le fiamme traendo in salvo la Testa.
Dal 1711 la Testa venne collocata in un'urna, opera di Giuseppe Piamontini, noto orafo fiorentino dell'epoca e dono dell'illustrissimo Pietro Biringucci Maestro di camera del Gran Principe di Toscana Cosimo III; quest'urna oggi è conservata nella basilica di San Domenico in una cappella a destra dell'altar maggiore. Fino ad allora la reliquia della Testa era custodita in un busto di rame sbalzato, che attualmente è conservato nella teca delle riliquie della Santa posta a destra della cappella affrescata dal Sodoma in San Domenico.
Nel 1798 la Testa venne trasferita in Duomo, poiché un forte terremoto aveva danneggiato la Basilica di San Domenico, nella quale fece ritorno solo nel 1806 in occasione della domenica in Albis.
La Sacra Testa venne portata in processione nel 1857 in occasione della visita di Papa Pio IX e in quella circostanza si dovette effettuare una revisione ad opera del professor Gaspero Mazzi.
Nel 1931 l'allora podestà di Siena Fabio Bargagli Petrucci, fece rompere i sigilli e aprire la teca per far valutare ai professori, Mazzi, Raimondi, Lunghetti, Londini e Gori le reali condizioni di essa.
Al 1931 risale anche il reliquiario che contiene oggi la Testa; esso è in
argento decorato a smalto opera dell'orafo fiorentino David Manetti che lo realizzò su disegno di Angelo Giorgi, noto argentiere. Il prezioso
reliquiario in stile gotico fu donato dai Padri Domenicani di San Marco di
Firenze ai Padri Domenicani di Siena.
Il 28 aprile 1940 la Sacra Testa fu portata in cattedrale in occasione delle prime feste nazionali cateriniane.
Il resto è storia recente. Nel 1996, in occasione del XXV° anniversario
della proclamazione di Santa Caterina a Dottore della Chiesa Universale, la Testa è stata esposta in Duomo alla venerazione di tutti i fedeli. Fu
trasportata in Cattedrale dai figuranti della contrada dell'Oca e del Drago
in corteo guidato dai Padri Domenicani.
Così come nell'anno 2000, in occasione della prima edizione delle Feste Internazionali in onore di Santa Caterina patrona d'Italia e d'Europa, la reliquia della Sacra Testa fu portata in Duomo con una solenne processione alla quale partecipò molta gente e il Cardinale Dannels, primate della Chiesa del Belgio, presiedette la celebrazione eucaristica.
(F.to Franca Piccini)
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La devozione dei fedeli arricchisce continuamente di gioielli, ori e pietre preziose la finissima rete che ricopre il Busto. Tra gli oltre 250 pezzi che a più strati ricoprono il reliquiario, alcuni sono doni di particolare valore. La corona, un gioiello di 1370 grammi tempestato di pietre preziose, fu, secondo una tradizione non confermata, un dono di Riccardo I d'Inghilterra detto "Cuor di Leone", che giunse in Sicilia nel 1190, durante una crociata. La regina Margherita di Savoia, nel 1881, offrì un prezioso anello, mentre il vicerè Ferdinando Acugna una massiccia collana quattrocentesca. Vincenzo Bellini donò alla patrona della sua città un riconoscimento che era stato dato a lui: la croce di cavaliere della Legion d'Onore. Anche papi, vescovi e cardinali negli anni hanno arricchito il tesoro di sant'Agata di collane e croci pettorali, oggetti preziosi che si aggiungono ai tantissimi ex voto che il popolo catanese continua a offrire alla "santuzza".
Nella stessa data in cui fu realizzato il Busto, gli orafi di Limoges eseguirono anche i reliquiari per le membra: uno per ciascun femore, uno per ciascun braccio, uno per ciascuna gamba.
I reliquiari per la mammella e per il velo furono eseguiti più tardi, nel 1628. Attraverso il vetro delle teche, che protegge ma non nasconde, durante la festa di sant'Agata si può vedere il miracoloso velo, una striscia di seta rosso cupo, lunga 4 metri e alta 50 centimetri, che le ricognizioni garantiscono ancora morbida, come se fosse stata tessuta di recente. Attraverso il reliquiario della mano destra e del piede destro si possono scorgere i tessuti del corpo della santa ancora miracolosamente intatti.
Lo Scrigno
Le reliquie del corpo, che per secoli furono conservate in una cassa di legno (oggi custodita nella chiesa di Sant'Agata la Vetere), dal 1576 si trovano in uno scrigno rettangolare d'argento alto 85 centimetri, lungo un metro e 48, largo 56. Il coperchio è suddiviso in 14 riquadri che raffigurano altrettante sante che onorano Agata, la prima vergine martire della chiesa. All'interno si conservano anche due documenti storici: la bolla pontificia di Urbano II che conferma solennemente che sant'Agata nacque a Catania e non a Palermo, come voleva un'altra tradizione, e una pergamena del 1666 che proclama sant'Agata protettrice perpetua di Messina.
La Reliquia del Seno
Una leggenda diffusa in Puglia spiegherebbe con un miracolo la presenza della reliquia a Gallipoli. Si dice che 1'8 agosto del 1126 sant'Agata apparve in sogno a una donna e la avvertì che il suo bambino stringeva qualcosa tra le labbra. La donna si svegliò e ne ebbe conferma, ma non riuscì a convincerlo ad aprire la bocca. Tentò a lungo: poi, in preda alla disperazione, si rivolse al vescovo. Il prelato recitò una litania invocando tutti i santi, e soltanto quando pronunciò il nome di Agata il bimbo aprì la bocca. Da essa venne fuori una mammella, evidentemente quella di sant'Agata.
La reliquia rimase a Gallipoli, nella basilica dedicata alla santa, dal 1126 al 1389, quando il principe Del Balzo Orsini la trasferì a Galatina, dove fece costruire la chiesa di Santa Caterina d'Alessandria d'Egitto, nella quale è ancora oggi custodita la reliquia, presso un convento di frati francescani.
Le altre Reliquie
Anche all'estero si custodiscono piccole reliquie di sant'Agata. In Spagna: a Palencia, a Oviedo e a Barcellona. In Francia: a Cambrai Hanan, Breau Preau e Douai. In Belgio: a Bruxelles, a Thienen, a Laar, ad Anversa. E ancora, in Lussemburgo, nella Repubblica Ceca (Praga) e in Germania (Colonia).
Tratto da: Maria Torrisi, Sant'Agata, Ed. S.Paolo
Cinisello Balsamo (MI) 1997
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un macabro culto dei
cadaveri nel XX° secolo
Molti pellegrini che verranno a Roma per l’Anno Santo faranno visita alle numerose reliquie a Roma. Il Cristo dovrà inorridire, poiché tutto ciò è contrario al Suo insegnamento. Egli condusse gli uomini a Dio e non disse loro di adorare ossa decomposte e parti di cadaveri mezze imputridite, imbalsamate o avvizzite. Il Suo insegnamento non è mai stato pagano.
Un’assurdità: prepuzi come reliquie sacre
Ciò nonostante ancor oggi nelle chiese e nelle cattedrali di molte città si conservano e si venerano ancora oggetti, vesti e resti di cadaveri: “Alcune chiese affermano di possedere le fasce del bambino Gesù. I Monaci di Charroux espongono addirittua il prepuzio della sua circoncisione. Come prova della sua autenticità affermano che di tanto in tanto ne fuoriescono delle gocce di sangue. Anche altre chiese affermano comunque di essere in possesso del sacro prepuzio, comprese le chiese a Coulombs, in Francia, la Chiesa di S. Giovanni a Roma e la chiesa di Puy a Velay.”
(Wilder, The Other Side of Rom, p. 54)
Reliquie - una tradizione pagana
Prendiamo come esempio l’Egitto: “L’Egitto era cosparso di tombe del suo dio ucciso: molte delle sue membra, gambe e braccia ed anche il teschio, dei quali si garantiva l’autenticità, venivano esposte nei luoghi di sepoltura in concorrenza tra loro, in modo da poter essere venerati dai fedeli.” (Hislop, The Two Babylons, p. 179)
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Aprile 1438: Roma é scossa dal furto più sacrilego della sua storia. Nottetempo qualcuno é riuscito a rubare i preziosi che ornano - tuttora - i reliquiari in cui sono conservate le teste degli apostoli Pietro e Paolo, venerate nella basilica di san Giovanni in Laterano. Come é stato possibile ? Chi sono i colpevoli ? Scattano le indagini e la Camera apostolica attiva tutti i birri, le spie e i confidenti che circolano per la città. Alla fine, al mercato de' Pellegrini, presso Campo de’ Fiori, dove si trovano le botteghe degli orefici e degli intagliatori di pietre preziose, qualcuno commette una fatale imprudenza.
Del 1438 a dì 12 d’aprile Capocciolo et Garofalo, doi beneficiati di Santo Ioanni Laterano, furorono molte prete pretiose, zafiri, balassi diamanti, ametisti et perle dallo capo di santo Pietro e santo Paolo, che stanno nello tabernacolo di Santo Ioanni preditto in doi volte, et furo retrovati per questo modo.
Servestro de Pallone comprò una perla de grande valore per trenta ducati, et fu una contesa con l’orefice et questo Servestro; et in questo modo venne ad notitia de molti, et quando fo saputo chi l’haveva venduta, subito fo sospicato et fo scoperto, et subito fu preso misser Nicola de Valmontone, canonico de santo Ioanni, perché Garofolo suo nepote li lo deo a tenere, et lui iuravo che non era vero, et che non ne sapeva niente, et esso lo sapeva; da poi che fu saputa la verità et retrovate le pietre, tutte foro reportate a Santo Ioanni a dì 22 de Agosto con tutta la processione di Roma e giro lo Senatore di Roma con tutti li Offitiali con tutto lo popolo, et lo Senatore lesse la scommunica che fece papa Urbano V, lo quale pose lì quelle teste et ornolle colle ditte prete.
Eodem anno die quarta de settembre furo desgradati questi malfattori, idest missore Nicola da Valemontone canonico, Capocciola et Garofolo, beneficiati, nello altare maiore dell’Aricielo; et dopo foro rencarcerati nella piazza di Campo de Fiore relevati su in alto, et lì stetteronce dij quattro, et dello ditto mese foro iustitiati in questo modo, videlicet Capocciola et Garofalo furo strascinati per fino alla piazza di santo Ioanni, et missore Nicolao gio a cavallo nello somaro, tutti immetriati. Lo ditto messer Nicola fo appeso nell’ormo della Piazza di Santo Ioanni, ad Capocciola et Garofalo li foro mozze le mano ritte, et poi foro arsi nella ditta piazza, et le ditte mani furo chiavellate accanto alla lopa de metallo, in quello muro, come delle preditte cose si vede la memoria penta come s’entra la ecclesia de santo Ianni ad mano ritta su ad alto.
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Quando Costantino unificò l’Impero e restituì alla vista e alla venerazione di tutti il luogo della risurrezione del Salvatore, l’augusta sua madre Elena, convertitasi al Cristianesimo, intraprese, malgrado la sua tarda età, un viaggio in Oriente per visitare tali santi luoghi (326 d.C.).
- a Roma, nella basilica di S. Croce di Gerusalemme che fu fatta realizzare da Sant’Elena20;
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L'ANNO 328
* LA TERRASANTA
* ROMA CAPITALE DELLA CRISTIANITA'?
* ELENA A CACCIA DI RELIQUIE
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