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Notizie sulle Reliquie


Il dito di Santa Caterina da SienaInizio con un brano tratto da Giovanni Sicari «Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma», Monografie Romane, Alma Roma 1998:
"Il culto delle reliquie, derivante dalle onoranze per i defunti, è oggi raccomandato ma non imposto dalla Chiesa. Il Concilio di Trento nella sua venticinquesima sessione lo emendò dagli eccessi e il Concilio Vaticano II così si espresse: "La Chiesa, secondo la sua tradizione, venera i Santi, le loro reliquie autentiche e le loro immagini". Le reliquie sono i resti mortali dei santi canonizzati o dei beati venerati o anche gli oggetti a loro collegati come: strumenti di martirio, vesti, utensili che sono tanto più preziosi quanto più stati a contatto con il vivente. Tra le reliquie corporali si distinguono le Insigni
 così definite dal Codex Juris Canonici: il corpo, la testa, un braccio, un avambraccio, la lingua, una mano, una gamba o la parte del corpo che fu martirizzata, purché sia intera e non piccola.
Nei primi secoli la Chiesa romana fu contraria alla traslazione e alla manomissione dei corpi dei santi che venerava in basiliche costruite sulle loro tombe. Alle continue richieste di chi desiderava possedere dei resti sacri, rispondeva donando reliquie ex contactu, cioè pezzi di stoffa messi a contatto con le tombe venerate o con oli che ardevano nei santuari. Le basiliche cimiteriali, divenute insicure per le incursioni barbariche, depredate d'alcuni corpi santi da Astolfo re dei Longobardi per la città di Pavia, vennero abbandonate e le salme traslate nelle chiese della capitale. Nel collocare i resti dei santi nelle nuove tombe, a volte, si separava la testa o altre parti dal corpo per venerarli in diversi luoghi, tra questi il più famoso fu, dai tempi di S. Leone III (795-817), la cappella di S. Lorenzo nel patriarchio del Laterano. Dopo centinaia d'anni d'oblio solo nel XVI secolo, grazie anche all'interesse suscitato da S. Filippo Neri, negli antichi cimiteri cristiani vennero riprese le ricerche di reliquie. Si riesumarono "corpi santi", "martiri inventi" che venivano trasferiti nelle chiese della città. Il ritrovamento nei loculi di semplici balsamari o d'epitaffi recanti simboli di fede erano sufficienti, per la metodica dell'epoca, come prova dell'avvenuto martirio. Grazie a Pio XI che istituì, nel 1925, il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana oggi si ha il massimo rigore scientifico e storico nel riconoscere i martiri dai semplici cristiani sepolti negli antichi cimiteri.
Le reliquie custodite nelle chiese di Roma costituiscono un'altra incommensurabile ricchezza della nostra città che, nonostante le varie vicissitudini storiche, ha saputo salvaguardare. Il presente scritto non vuole solamente riscoprire e catalogare questa eredità, ma ambirebbe raggiungere lo scopo di liberarla da quella sorta di "velatura" della sua memoria, formatasi in epoca recente, che tende a negarla per mancanza di documentazione comprovante l'effettiva presenza di reliquie in quel particolare luogo sacro.
Per questa ricerca mi sono principalmente avvalso di tre opere:

1 - Xavier Barbier de Montault, l'année liturgique a Rome, edita da Spithover nel 1870, che redige l'Inventaire des pricipales reliques de chaque église, capitolo fondamentale, citato per brevità "Inventario 1870".
2 - Il Diario Romano per l'anno del Signore 1926, Tipografia Poliglotta Vaticana, opera nella quale vengono segnalate tutte le cerimonie dei Santi e l'esposizione delle loro reliquie a Roma.
3 - Placido Lugano, le Sacre Stazioni Romane, Libreria Editrice Vaticana 1960, seconda edizione postuma di dodici anni. In quest'ultimo scritto, menzionato "P. Lugano 1960", vi è l'elenco delle reliquie insigni possedute dalle basiliche.
..............................................

Giovanni Sicari"

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Dal sito del CICAP riprendo questo articolo:

"Valeva la pena di parlarne. Il Dizionario critico delle reliquie e delle immagini miracolose1 di Collin de Plancy, oggetto della mia tesi di laurea, ha suscitato interesse tra il pubblico del VI convegno nazionale del Cicap. La sessione di poster "L'insolito all'Università" ha così consentito agli interessati di storia del paranormale religioso di discutere su questo testo poco conosciuto e oggi molto difficilmente reperibile. Ma che cos'è il Dizionario critico delle reliquie e delle immagini miracolose2? Si tratta di un vasto repertorio alfabetico, pubblicato a Parigi negli anni 1821-22, degno della migliore tradizione enciclopedica settecentesca, che elenca tutte le reliquie e le immagini miracolose esistenti o esistite in Europa fino a quegli anni, corredato di aneddoti e informazioni sui culti sviluppatisi al loro cospetto e sui racconti prodigiosi ad esse relativi.
Un'overdose di reliquie, quindi, di spoglie mortali di santi, di parti di esse e dei più svariati oggetti che si pretendeva fossero appartenuti a Gesù, alla Vergine, ai santi o semplicemente che avessero avuto un minimo di contatto fisico con loro. Un'overdose di immagini, soprattutto mariane, alle quali, al pari delle reliquie, si attribuivano poteri miracolosi di diverso genere. Emerge la testimonianza di una religiosità di gusto necrofilo che l'autore, erede dei lumi del XVIII secolo, si propone di arginare inducendo il lettore alla riflessione razionale e al senso critico. Un proposito che egli persegue informando su tutte le assurdità legate a tali culti, come l'esistenza di una stessa reliquia in svariati luoghi diversi o rimarcando il gusto macabro o l'origine pagana soggiacente a molti aspetti di questa discutibile forma di religiosità, che egli considera completamente estranea al messaggio evangelico.
Per farci un'idea circa lo stile e il contenuto del Dizionario delle reliquie, diamo la parola a Collin de Plancy:
"ALBANO, - primo vescovo della Gran Bretagna. Il suo corpo, che fu visitato mille anni dopo la sua morte, fu trovato così integro come se fosse stato vivente, ma si corruppe non appena lo sistemarono nella sua cassa. Questo corpo era ad un tempo, nel quattordicesimo secolo, in Inghilterra, a Roma e a Colonia." 3
"FELICITA,- martire in Africa nel terzo secolo, con santa Perpetua. Il suo corpo era quadruplo. Lo mostravano a Roma, a Bologna, a Vierzon nel Berry e nel monastero di Dèvre, nella stessa provincia. Non si sa dire come il corpo di questa santa sia venuto da Cartagine in Europa. Un'altra santa Felicita patì il martirio a Roma, con i suoi sette figli nel secondo secolo; i leggendari dicono che ella non morì con una qualche dolcezza se non dopo aver visto massacrare tutti i suoi figli, che ella temeva di lasciare al secolo. Il suo corpo e quelli dei suoi figli furono per lungo tempo perduti. Si è saputo tuttavia ritrovarli e li si onora a Roma nella chiesa di San Marcello." 4
Non è difficile notare l'ironia sottile e critica sulle leggende che giustificavano, in modo non sempre credibile, il ritrovamento dei corpi, secoli dopo la loro sepoltura. Naturalmente, ogni esemplare della stessa reliquia aveva, nella maggior parte dei casi, la sua leggenda a sostegno della propria autenticità.
Macabri feticci di dubbia origine, insomma, che presentati tutti insieme in un così vasto archivio non possono evitare di farci riflettere. Pensiamo, ad esempio, al racconto evangelico di S. Giovanni Battista e teniamo conto che, per secoli, esso fu tenuto vivo nel ricordo dei fedeli non solo tramite l'esposizione di una quindicina di teste, che Collin de Plancy rintraccia in alcune chiese europee, ma anche tramite parti distaccate, la cui enumerazione non può che suscitare disgusto:
"Un cervello di S. Giovanni è nell'abbazia di Tiron (...), un altro a Nogent-le Rotrou. Un orecchio sta a Parigi, un altro a Saint Flour e un altro ancora a Praga. Si ricordano inoltre una quarantina di altre teste che non possiamo indicare esattamente con sicurezza." 5
Ma veniamo ai miracoli. Le leggende sulle reliquie e sulle immagini raccolte da Collin de Plancy sono straripanti di soprannaturale e, in molti casi, servivano a sanzionare quei culti superstiziosi che trasformavano la venerazione dei santi in una pratica di medicina alternativa. Molti santi diventavano così titolari di poteri terapeutici assolutamente individuali e fra loro diversificati. Come, ad esempio:
"GUALTIERO, - primo abate di Saint-Martin de Pontoise. Il suo corpo rimase nella sua abbazia, dove egli era morto nel 1099. I religiosi di questa abbazia benedicono un'acqua, nella quale immergono un osso del santo, che essi chiamano acqua di San Gualtiero; essa guarisce dalla febbre. (...)" 6
Pratiche di tipo magico, quindi, e di conseguenza infiniti racconti di miracoli, ai quali l'autore dimostra di non credere. E li confuta, seguendo un filo conduttore assolutamente razionale, degno della migliore tradizione voltairiana e straordinariamente attuale:
"Ma che pochi miracoli ci sarebbero se li si potesse esaminare da vicino, si può persino dire che non ne esisterebbero affatto." 7
Attraverso moltissimi esempi, l'autore ci illustra come i miracoli appartengano quasi sempre a un passato favoloso e incontrollabile, quando non sono eventi di normale origine naturale, attribuiti a fattori soprannaturali per momentanea non conoscenza delle cause scatenanti. Oppure, essi sono il risultato di errori di valutazione o di vero e proprio inganno, sovente considerato necessario perché finalizzato a ciò che veniva considerato un bene supremo. Di fatto, le "pie frodi" hanno rappresentato per secoli un inganno a fin di conversione, un mezzo troppo spesso preferito dagli ecclesiastici per indottrinare il popolo e creare nel contempo vere e proprie industrie del miracolo. Le offerte estorte ai più semplici tramite disgustose menzogne erano solo una delle discutibili conseguenze dell'ingegnosità di chi intendeva mantenere la propria posizione di potere, limitando l'altrui capacità e libertà di giudizio.
"(...) Crocifisso di Boksley. Dopo che Enrico VIII ebbe soppresso i conventi in Inghilterra, tra gli strumenti delle pie frodi che vennero scoperti in questi superbi asili della fannullonaggine si parla soprattutto del famoso crocifisso di Boksley, che si muoveva e camminava come una marionetta. Questo crocifisso veniva chiamato Statua di Grazia. (...) I monaci, sempre ingegnosi, avevano abilmente inventato delle molle che facevano muovere a piacimento questo miracoloso crocifisso; e questa santa industria aveva per lungo tempo edificato gli inglesi devoti e procurato grandi profitti al monastero. (...)" 8
Tramite il rifiuto delle pie frodi, Collin de Plancy esprime e sostiene la necessità di una società caratterizzata dal diritto alla corretta informazione. Una società dove nessuno potrebbe più ingannare impunemente altre persone, per nessuno scopo, una società dove nessuno dovrebbe sottostare a un'autorità interessata a mantenere il popolo in una sorta di eterna infanzia intellettuale e culturale. La conoscenza storica e scientifica diventa perciò un diritto di tutti e la sua diffusione viene elevata a dovere morale, al quale le persone colte non si possono sottrarre.
Il nostro autore delega quindi alle persone "illuminate" 9 il compito di diffondere un'informazione seria, egualitaria e rispettosa della dignità di ogni essere umano. Quest'ultimo, in sostanza, è il messaggio del Dizionario delle reliquie, un ideale democratico difficile da accettare per coloro che cercavano di governare la società francese dei primi decenni del XIX secolo promuovendo l'ideologia di una necessaria Restaurazione politica e religiosa dopo gli sbandamenti della Rivoluzione e dell'Impero. Un ideale col tempo rinnegato anche dallo stesso Collin de Plancy che, dopo circa vent'anni dalla pubblicazione del Dizionario delle reliquie, si converte ad un Cattolicesimo obbediente e acritico, diventando in questo modo strenuo difensore di tutto ciò che aveva precedentemente criticato. La sua scrittura diventa così paladina delle gerarchie ecclesiastiche del suo tempo e produce molte opere a difesa dei concetti di autorità e di tradizione.
Viene da chiedersi quanto questa conversione possa considerarsi sincera... Di fatto, indagando sulla biografia dell'autore, emerge che, dopo la pubblicazione del Dizionario delle reliquie, egli dovette affrontare alcuni problemi seri, tra i quali un processo, subito proprio per aver pubblicato tale opera. Nel frattempo, la Francia e l'Europa in genere vedevano uno straordinario revival della magia nonché la diffusione di gruppi esoterici e sette sataniche che sembravano potenzialmente capaci di sostituire la religione cristiana tradizionale con una accozzaglia di superstizioni di vario genere."L'uomo ha bisogno di fede, se rifiuta la vera cade nell'altra" 10, dichiara Collin de Plancy convertito, giustificando così il suo impegno per la causa cattolica.
Ma al lettore di oggi nulla offrono le sue opere di convertito.
La conversione di Collin de Plancy lascia perplessi se si tiene conto che il Dizionario delle reliquie non aveva lo scopo di demolire la fede cristiana, ma anzi, di restituirla alla lettera del Vangelo, depurandola da tutti quei culti feticisti, superstiziosi e assurdi che la inquinavano.
In ogni caso, lasciando da parte i dubbi sulla sincerità della conversione del suo autore, il Dizionario delle reliquie resta un documento che ancora oggi parla al lettore, donandogli elementi utili per uno sguardo disincantato sul paranormale religioso e proponendo un'etica umanistica che non necessita di dogmi e di miracoli. Un messaggio più che mai attuale, che eleva la razionalità a valore assoluto, irrinunciabile e trasversale a ogni fede o ideologia, unica porta di accesso verso un effettivo progresso scientifico e ideologico.
Clelia Canna
Segue le problematiche del paranormale religioso.
Fa parte del CICAP Gruppo Lombardia

Bibliografia
Collin de Plancy. 1821-22. Dictionnaire critique des reliques et des images miraculeuses. Paris. Guien.
Note
(1) Collin de Plancy. 1821-22. Dictionnaire critique des reliques et des images miraculeuses. Paris. Guien.
Nel seguito dell'articolo, per brevità, ci riferiremo a quest'opera in termini di Dizionario delle reliquie.
Ibidem, Vol. I, p. 10
Ibidem, Vol I, p. 305
Ibidem, Vol. II, p. 28
Ibidem, Vol I, p. 348
Ibidem, Vol. II, p. 68
Ibidem, Vol. I, pp. 203-204
Ibidem, p. LVIII
Collin de Plancy. 1864. Légendes des commandements de Dieu. Paris. Plon. (p. 6)"
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Da siti di svariate chiese, riprendo la parte che riguarda le reliquie conservate:

Santa Croce in Gerusalemme
BASILICA - CAPPELLA DELLE RELIQUIE

Le Reliquie della Passione del Signore furono conservate e venerate per più di un millennio nella cappella semisotterranea dedicata a S.Elena, l'anziana madre dell'imperatore Costantino, alla quale - secondo la tradizione - si deve il ritrovamento della Croce di Gesù.
Nel 1570, a causa dell'umidità dell'ambiente, furono trasferite in un vano sopra la cordonata di destra, a cui si accedeva attraverso la clausura del monastero e con speciali permessi.
Tale collocazione non consentiva agevolmente il passaggio dei pellegrini, il cui flusso andò aumentando nei tempi moderni.
Per questo, durante l'Anno Santo del 1925 si pensò di costruire una Cappella di maggiore capacità e più facile accesso.
L'attuale "Santuario della Croce" è stato ricavato nell'antica Sacrestia della Basilica su progetto dell'architetto Florestano Di Fausto.


L'idea sottesa all'opera è quella del pellegrinaggio al Calvario meditando il mistero della Passione e Morte di Gesù, tema efficacemente espresso dai simboli lungo il percorso:varcato l'ingresso - in fondo alla navata di sinistra della Basilica - si entra subito nel clima meditativo davanti alla teca con la "Pars Crucis Boni Latronis"; poi una gradinata conduce al Vestibolo attraverso una porta a forma di croce: salendo i gradini si ripercorre la Passione di Gesù con le Stazioni della Via Crucis (in 14 gruppi bronzei di Giovanni Nicolini) alternate a citazioni tratte dal Nuovo Testamento e dalla Liturgia del Venerdì Santo; infine, dal Vestibolo e al di là di un'iconostàsi, si giunge alla visione delle Reliquie, custodite in sei preziosi reliquiari, realizzati del tutto o in parte nel corso dell'800 per sostituire quelli antichi confiscati nel 1798 dalla Repubblica Romana.
La Cappella, realizzata in marmi policromi e arricchita anche dalle vetrate artistiche del Picchiarini e dai mosaici realizzati su disegno di Corrado Mezzana, fu inaugurata nel 1930 e ultimata nel 1952.
I reliquiari sono stati custoditi in un armadio incastonato nella parete di fondo, che ne permetteva una visione solo frontale. Dopo la traslazione dell'11 novembre 1997, sono ora sull'altare della Cappella, completamente visibili e protetti da una teca di cristallo.
 
RELIQUIE DELLA PASSIONE DEL SIGNORE

E' tradizione antichissima che una parte della Croce del Signore sia stata portata a Roma e venerata nella Basilica Sessoriana.
Lo attestano le fonti tardo-antiche e medioevali e ne danno conferma gli antichi rituali delle funzioni papali, che fissano l'Adorazione della Croce il Venerdì Santo in Hierusalem: il Pontefice in persona procedeva scalzo dalla Basilica Lateranense e processionalmente, con il clero e il popolo, andava alla Basilica Sessoriana per adorarvi il Legno della vera Croce.
Nel corso dei secoli, poi, svariati frammenti del Sacro Legno sono stati prelevati proprio dalla Reliquia Sessoriana per essere donati dai Pontefici a personalità e santuari: Gregorio Magno ne mandò una particella in dono a Reccaredo, re dei Visigoti; Leone X ne fece estrarre una parte per donarla a Francesco I , re di Francia (1515) ; Urbano VIII (1623-1644) volle donarne una parte alla Basilica Vaticana; anche Pio VI, PioVII e Pio IX fecero prelevare altre particelle.
Pur essendo una reliquia così antica, dunque, può presentare numerosi documenti che attestano la sua invenzione, traslazione, conservazione e venerazione.
 
Anche per quanto riguarda il Chiodo la tradizione è antica e costante: a S.Elena, infatti, si attribuisce anche il ritrovamento dei chiodi con i quali Gesù era stato crocifisso. L'Imperatrice ne fece mettere uno nella corona e uno nel freno del cavallo di Costantino. Un altro lo portò con sé a Roma.
E' probabilmente quello di cui parla Gregorio di Tours : S.Elena, nel tornare dalla Palestina, trovando il mare molto agitato, fece immergere in acqua uno dei chiodi della Crocifissione e al suo contatto il mare si calmò.
E' da sempre annoverato tra le Reliquie Sessoriane e, insieme a quello di Milano, è tra quelli più anticamente documentati.
Per la reliquia del Titolo - la tavoletta di legno con una parte dell'iscrizione Jesus Nazarenus Rex Iudaeorum in ebraico, greco e latino - la tradizione ad un certo punto lascia il passo alla storia: Stefano Infessura nel suo Diario, in data 1 febbraio 1492, racconta che questa reliquia fu casualmente ritrovata durante i lavori di restauro in Basilica voluti dal card. Mendoza.
Chiusa in una cassettina con il sigillo del card. Caccianemici - titolare di S.Croce e poi papa col nome di Lucio II (1144-45) - era stata murata ab antiquo nell'arco che separa il transetto dalla navata centrale.

Nell'antichità le reliquie venivano spesso messe in alto nelle chiese per preservarle dai furti, ma nel caso del Titolo pare se ne fosse persa memoria, poiché erano cadute le lettere musive che ne indicavano la collocazione.
La notizia del ritrovamento fece molto scalpore all'epoca, anche perché coincise con la riconquista spagnola di Granata, ultima roccaforte degli Arabi in Occidente. Papa Alessandro VI il 29/7/1496 emise la bolla Admirabile sacramentum con cui autenticava il ritrovamento del Titolo e concedeva l'indulgenza plenaria a coloro che avessero visitato S.Croce l'ultima domenica di gennaio.
La tradizione, invece, non attribuisce a S.Elena il ritrovamento della Corona di Spine. Di questa reliquia si sa che era venerata a Costantinopoli già ai tempi di Giustiniano. Durante l'Impero Latino d'Oriente (1204-1261) ne vennero in possesso i Veneziani.
Nel 1270, poi, l'ebbe S. Luigi Re di Francia, che la pose nella Cappella del Palazzo Reale. Successivamente passò alla chiesa abbaziale di S.Dionigi (1791) e infine nel 1806 fu trasferita a Notre Dame, dove è conservata tuttora. E' priva di spine che invece sono sparse in molte chiese.
Alle Reliquie della Passione di Cristo, nel corso dei secoli sono state aggiunte altre reliquie, quali i frammenti della grotta di Betlemme del S.Sepolcro e della colonna della Flagellazione, il patibulum del Buon Ladrone e la Falange del Dito di S.Tommaso, per completare la Catechesi sulla Passione.
Per la Chiesa e per i pellegrini di ieri e di oggi, infatti, le Reliquie sono preziosi strumenti di catechesi, segni di un fatto certo, la cui venerazione può aiutare la meditazione sulle sofferenze che ricordano e riproporre il valore salvifico della Croce.
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VIAGGIO TRA LE RELIQUIE DI SANTA CATERINA


La Testa di Santa Caterina è certamente la reliquia più importante ed è conservata nella cappella dedicata alla Santa posta nella basilica di San Domenico di Siena. Fu staccata dal corpo della mantellata senese nel 1381 per volere di Papa Urbano VI; la borsa in seta che contenne la  Testa durante il viaggio da Siena a Roma è conservata nella celletta di Santa Caterina presso la Casa-Santuario dove sono conservati anche il pomo del bastone sul quale era solita appoggiarsi e la lampada per recarsi di notte allo Spedale di Santa Maria della Scala a svolgere l'opera di infermiera volontaria.
   Per quattro anni la testa rimase chiusa in un armadio della sacrestia di San Domenico, ma una volta che il Concistoro della Repubblica venne a conoscenza del fatto, dette ordine di tributare onori pubblici alla preziosa reliquia. Così il 5 maggio 1385 una imponente processione, condusse la
reliquia in San Domenico partendo dalla chiesa dell'Ospedale di San Lazzaro, fuori Porta Romana. Chiudeva la processione un gruppo di Mantellate di san Domenico e Lapa, la madre di Caterina.
   Un'altra importante reliquia è il dito conservato anch'esso nella Basilica di San Domenico; con questa reliquia viene impartita la benedizione all'Italia e alle Forze Armate nel pomeriggio della domenica che si tengono le Feste internazionali in onore di Santa Caterina da Siena.     Questa reliquia, insieme alle cordicelle con le quali la mantellata senese era solita disciplinarsi e al busto in bronzo che per tanti anni ha contenuto e protetto la testa, è conservata nella teca posta nella parete
destra della Basilica di San Domenico, teca che attualmente è stata tolta per far posto ad un'altra, di artistica realizzazione, opera dell'architetto senese Sandro Bagnoli, dove troveranno migliore collocazione sia il dito che le altre reliquie della Santa; questa realizzazione è dovuta alla sensibilità dimostrata dalla dottoressa Laura Martini della Soprintendenza dei beni artistici di Siena e Grosseto e alla perseveranza del parroco Padre Alfredo Scarciglia.
   Un piede della Santa è conservato nella Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, la stessa chiesa dove riposa fra' Tommaso Caffarini autore della Legenda Minor.
   Era presente nel Duomo di Siena anche una costola della Santa, essa però fu donata al santuario di Santa Caterina ad Astenet in Belgio costruito nel 1985 per volontà dei Caterinati di quel paese.
   Anche il Santuario ha la sua reliquia; essa è una scaglia di una scapola di Caterina. E' conservata ed è ben visibile, in una urna scavata nel muro a sinistra dell'altar maggiore dell'Oratorio del Crocifisso. Nella teca vi è una testina in cera raffigurante la Santa. Questa reliquia è stata
donata al Santuario dalla professoressa Lidia Gori, caterinata e figlia del professor Giulio Gori il quale, nel 1931 insieme ai professori Mazzi, Raimondi, Lunghetti e Londini operarono una ricognizione sulla reliquia della Sacra Testa, ricognizione voluta dall'allora podestà Fabio Bargagli
Petrucci.
   Al 1931 risale anche il reliquiario che contiene la Testa oggi; esso è in argento decorato a smalto opera dell'orafo fiorentino David Manetti che lo realizzò su disegno di Angelo Giorgi, noto argentiere. Il prezioso reliquiario in stile gotico fu donato dai Padri Domenicani di San Marco di Firenze ai Padri Domenicani di Siena.
(f.to Franca Piccini)
- LA SACRA TESTA
     Nell'ottobre del 1381 il Papa Urbano VI dette il permesso di staccare dal busto la testa di Santa Caterina, la quale venne affidata a due frati senesi, Tommaso della Fonte e un altro, che la portarono a Siena in segreto.
   La borsa in seta che contenne la Testa durante il viaggio da Siena a Roma è conservata nella celletta di Santa Caterina presso la Casa-Santuario.Per quattro anni rimase chiusa in un armadio della sacrestia di San Domenico, ma una volta che il Concistoro della Repubblica venne a conoscenza del fatto, dette ordine di tributare onori pubblici alla preziosa reliquia. Così il 5 maggio 1385 una imponente processione, condusse la reliquia in San Domenico partendo dalla chiesa dell'Ospedale di San Lazzaro, fuori Porta Romana. Chiudeva la processione un gruppo di Mantellate di san Domenico e Lapa, la madre di Caterina.
   Nella notte tra il 3 e il 4 dicembre del 1531, la Sacra Testa rischiò di
essere distrutta; infatti nella chiesa di San Domenico scoppiò un violento
incendio; solo il coraggio di fra' Guglielmo da Firenze mise in salvo la
reliquia, infatti il frate si avvolse in un lenzuolo bagnato e si gettò tra
le fiamme traendo in salvo la Testa.
   Dal 1711 la Testa venne collocata in un'urna, opera di Giuseppe Piamontini, noto orafo fiorentino dell'epoca e dono dell'illustrissimo Pietro Biringucci Maestro di camera del Gran Principe di Toscana Cosimo III; quest'urna oggi è conservata nella basilica di San Domenico in una cappella a destra dell'altar maggiore. Fino ad allora la reliquia della Testa era custodita in un busto di rame sbalzato, che attualmente è conservato nella teca delle riliquie della Santa posta a destra della cappella affrescata dal Sodoma in San Domenico.
   Nel 1798 la Testa venne trasferita in Duomo, poiché un forte terremoto aveva danneggiato la Basilica di San Domenico, nella quale fece ritorno solo nel 1806 in occasione della domenica in Albis.
   La Sacra Testa venne portata in processione nel 1857 in occasione della visita di Papa Pio IX e in quella circostanza si dovette effettuare una revisione ad opera del professor Gaspero Mazzi.
   Nel 1931 l'allora podestà di Siena Fabio Bargagli Petrucci, fece rompere i sigilli e aprire la teca per far valutare ai professori, Mazzi, Raimondi, Lunghetti, Londini e Gori le reali condizioni di essa.
   Al 1931 risale anche il reliquiario che contiene oggi la Testa; esso è in
argento decorato a smalto opera dell'orafo fiorentino David Manetti che lo realizzò su disegno di Angelo Giorgi, noto argentiere. Il prezioso
reliquiario in stile gotico fu donato dai Padri Domenicani di San Marco di
Firenze ai Padri Domenicani di Siena.
   Il 28 aprile 1940 la Sacra Testa fu portata in cattedrale in occasione delle prime feste nazionali cateriniane.
   Il resto è storia recente. Nel 1996, in occasione del XXV° anniversario
della proclamazione di Santa Caterina a Dottore della Chiesa Universale, la Testa è stata esposta in Duomo alla venerazione di tutti i fedeli. Fu
trasportata in Cattedrale dai figuranti della contrada dell'Oca e del Drago
in corteo guidato dai Padri Domenicani.
   Così come nell'anno 2000, in occasione della prima edizione delle Feste Internazionali in onore di Santa Caterina patrona d'Italia e d'Europa, la reliquia della Sacra Testa fu portata in Duomo con una solenne processione alla quale partecipò molta gente e il Cardinale Dannels, primate della Chiesa del Belgio, presiedette la celebrazione eucaristica.
                                                                                                            (F.to Franca Piccini)
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LE RELIQUIE DI S. AGATA
Il Busto

Dal 1376 la testa e il torace di sant'Agata sono custoditi in un prezioso reliquiario d'argento lavorato finemente a sbalzo e decorato con ceselli e smalto. Ha l'aspetto di una statua a mezzo busto, con l'incarnato del volto in fine smalto e il biondo dei capelli in oro. In realtà, però, è un raffinato forziere, cavo all'interno, in cui sono custodite le reliquie della testa, del costato e di alcuni organi interni. L'allora vescovo di Catania, un benedettino francese oriundo di Limoges, l'aveva commis- sionato in Francia, nel 1373, all'orafo senese Giovanni Di Bartolo.
 La devozione dei fedeli arricchisce continuamente di gioielli, ori e pietre preziose la finissima rete che ricopre il Busto. Tra gli oltre 250 pezzi che a più strati ricoprono il reliquiario, alcuni sono doni di particolare valore. La corona, un gioiello di 1370 grammi tempestato di pietre preziose, fu, secondo una tradizione non confermata, un dono di Riccardo I d'Inghilterra detto "Cuor di Leone", che giunse in Sicilia nel 1190, durante una crociata. La regina Margherita di Savoia, nel 1881, offrì un prezioso anello, mentre il vicerè Ferdinando Acugna una massiccia collana quattrocentesca. Vincenzo Bellini donò alla patrona della sua città un riconoscimento che era stato dato a lui: la croce di cavaliere della Legion d'Onore. Anche papi, vescovi e cardinali negli anni hanno arricchito il tesoro di sant'Agata di collane e croci pettorali, oggetti preziosi che si aggiungono ai tantissimi ex voto che il popolo catanese continua a offrire alla "santuzza".
Nella stessa data in cui fu realizzato il Busto, gli orafi di Limoges eseguirono anche i reliquiari per le membra: uno per ciascun femore, uno per ciascun braccio, uno per ciascuna gamba.
I reliquiari per la mammella e per il velo furono eseguiti più tardi, nel 1628. Attraverso il vetro delle teche, che protegge ma non nasconde, durante la festa di sant'Agata si può vedere il miracoloso velo, una striscia di seta rosso cupo, lunga 4 metri e alta 50 centimetri, che le ricognizioni garantiscono ancora morbida, come se fosse stata tessuta di recente. Attraverso il reliquiario della mano destra e del piede destro si possono scorgere i tessuti del corpo della santa ancora miracolosamente intatti.

Lo Scrigno

Le reliquie del corpo, che per secoli furono conservate in una cassa di legno (oggi custodita nella chiesa di Sant'Agata la Vetere), dal 1576 si trovano in uno scrigno rettangolare d'argento alto 85 centimetri, lungo un metro e 48, largo 56. Il coperchio è suddiviso in 14 riquadri che raffigurano altrettante sante che onorano Agata, la prima vergine martire della chiesa. All'interno si conservano anche due documenti storici: la bolla pontificia di Urbano II che conferma solennemente che sant'Agata nacque a Catania e non a Palermo, come voleva un'altra tradizione, e una pergamena del 1666 che proclama sant'Agata protettrice perpetua di Messina.

La Reliquia del Seno
 
Fra tutte le città italiane di cui sant'Agata è compatrona, Gallipoli e Galatina, in Puglia, sono coinvolte in una singolare contesa che vede come protagonista una reliquia di sant'Agata, la mammella.
Una leggenda diffusa in Puglia spiegherebbe con un miracolo la presenza della reliquia a Gallipoli. Si dice che 1'8 agosto del 1126 sant'Agata apparve in sogno a una donna e la avvertì che il suo bambino stringeva qualcosa tra le labbra. La donna si svegliò e ne ebbe conferma, ma non riuscì a convincerlo ad aprire la bocca. Tentò a lungo: poi, in preda alla disperazione, si rivolse al vescovo. Il prelato recitò una litania invocando tutti i santi, e soltanto quando pronunciò il nome di Agata il bimbo aprì la bocca. Da essa venne fuori una mammella, evidentemente quella di sant'Agata.
La reliquia rimase a Gallipoli, nella basilica dedicata alla santa, dal 1126 al 1389, quando il principe Del Balzo Orsini la trasferì a Galatina, dove fece costruire la chiesa di Santa Caterina d'Alessandria d'Egitto, nella quale è ancora oggi custodita la reliquia, presso un convento di frati francescani.

Le altre Reliquie
A Palermo, nella Cappella regia, sono custodite le reliquie dell'ulna e del radio di un braccio. A Messina, nel monastero del SS. Salvatore, un osso del braccio. Ad Alì, in provincia di Messina, parte di un osso del braccio. A Roma, in diverse chiese si conservano frammenti del velo. A Sant'Agata dei Goti, in provincia di Benevento, si conserva un dito. Altre piccole reliquie si trovano a Sant'Agata di Bianco, a Capua, a Capri, a Siponto, a Foggia, a Firenze, a Pistoia, a Radicofani, a Udine, a Venalzio, a Ferrara.
Anche all'estero si custodiscono piccole reliquie di sant'Agata. In Spagna: a Palencia, a Oviedo e a Barcellona. In Francia: a Cambrai Hanan, Breau Preau e Douai. In Belgio: a Bruxelles, a Thienen, a Laar, ad Anversa. E ancora, in Lussemburgo, nella Repubblica Ceca (Praga) e in Germania (Colonia).
Tratto da: Maria Torrisi, Sant'Agata, Ed. S.Paolo
Cinisello Balsamo (MI) 1997

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Reliquie:
un macabro culto dei
cadaveri nel XX° secolo
L’insegnamento di Gesù non è mai stato pagano

Molti pellegrini che verranno a Roma per l’Anno Santo faranno visita alle numerose reliquie a Roma. Il Cristo dovrà inorridire, poiché tutto ciò è contrario al Suo insegnamento. Egli condusse gli uomini a Dio e non disse loro di adorare ossa decomposte e parti di cadaveri mezze imputridite, imbalsamate o avvizzite. Il Suo insegnamento non è mai stato pagano.
Un’assurdità: prepuzi come reliquie sacre

Ciò nonostante ancor oggi nelle chiese e nelle cattedrali di molte città si conservano e si venerano ancora oggetti, vesti e resti di cadaveri: “Alcune chiese affermano di possedere le fasce del bambino Gesù. I Monaci di Charroux espongono addirittua il prepuzio della sua circoncisione. Come prova della sua autenticità affermano che di tanto in tanto ne fuoriescono delle gocce di sangue. Anche altre chiese affermano comunque di essere in possesso del sacro prepuzio, comprese le chiese a Coulombs, in Francia, la Chiesa di S. Giovanni a Roma e la chiesa di Puy a Velay.”
(Wilder, The Other Side of Rom, p. 54)
Reliquie - una tradizione pagana

Prendiamo come esempio l’Egitto: “L’Egitto era cosparso di tombe del suo dio ucciso: molte delle sue membra, gambe e braccia ed anche il teschio, dei quali si garantiva l’autenticità, venivano esposte nei luoghi di sepoltura in concorrenza tra loro, in modo da poter essere venerati dai fedeli.” (Hislop, The Two Babylons, p. 179)
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Il furto delle sacre teste degli apostoli Pietro e Paolo dalla basilica del Laterano

Aprile 1438: Roma é scossa dal furto più sacrilego della sua storia. Nottetempo qualcuno é riuscito a rubare i preziosi che ornano - tuttora - i reliquiari in cui sono conservate le teste degli apostoli Pietro e Paolo, venerate nella basilica di san Giovanni in Laterano. Come é stato possibile ? Chi sono i colpevoli ? Scattano le indagini e la Camera apostolica attiva tutti i birri, le spie e i confidenti che circolano per la città. Alla fine, al mercato de' Pellegrini, presso Campo de’ Fiori, dove si trovano le botteghe degli orefici e degli intagliatori di pietre preziose, qualcuno commette una fatale imprudenza.
La nostra guida dell'epoca é messere Stefano Infessura, notaio del popolo romano...

Del 1438 a dì 12 d’aprile Capocciolo et Garofalo, doi beneficiati di Santo Ioanni Laterano, furorono molte prete pretiose, zafiri, balassi diamanti, ametisti et perle dallo capo di santo Pietro e santo Paolo, che stanno nello tabernacolo di Santo Ioanni preditto in doi volte, et furo retrovati per questo modo.
Servestro de Pallone comprò una perla de grande valore per trenta ducati, et fu una contesa con l’orefice et questo Servestro; et in questo modo venne ad notitia de molti, et quando fo saputo chi l’haveva venduta, subito fo sospicato et fo scoperto, et subito fu preso misser Nicola de Valmontone, canonico de santo Ioanni, perché Garofolo suo nepote li lo deo a tenere, et lui iuravo che non era vero, et che non ne sapeva niente, et esso lo sapeva; da poi che fu saputa la verità et retrovate le pietre, tutte foro reportate a Santo Ioanni a dì 22 de Agosto con tutta la processione di Roma e giro lo Senatore di Roma con tutti li Offitiali con tutto lo popolo, et lo Senatore lesse la scommunica che fece papa Urbano V, lo quale pose lì quelle teste et ornolle colle ditte prete.
Eodem anno die quarta de settembre furo desgradati questi malfattori, idest missore Nicola da Valemontone canonico, Capocciola et Garofolo, beneficiati, nello altare maiore dell’Aricielo; et dopo foro rencarcerati nella piazza di Campo de Fiore relevati su in alto, et lì stetteronce dij quattro, et dello ditto mese foro iustitiati in questo modo, videlicet Capocciola et Garofalo furo strascinati per fino alla piazza di santo Ioanni, et missore Nicolao gio a cavallo nello somaro, tutti immetriati. Lo ditto messer Nicola fo appeso nell’ormo della Piazza di Santo Ioanni, ad Capocciola et Garofalo li foro mozze le mano ritte, et poi foro arsi nella ditta piazza, et le ditte mani furo chiavellate accanto alla lopa de metallo, in quello muro, come delle preditte cose si vede la memoria penta come s’entra la ecclesia de santo Ianni ad mano ritta su ad alto.

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Le ritrovate reliquie della Passione di Gesù

I pellegrinaggi di Sant'Elena e di altri

Quando Costantino unificò l’Impero e restituì  alla vista e alla venerazione di tutti il luogo della risurrezione del Salvatore, l’augusta sua madre Elena, convertitasi al Cristianesimo, intraprese, malgrado la sua tarda età, un viaggio in Oriente per visitare tali santi luoghi (326 d.C.).
Partita da Roma sul finire di quell’anno, raggiunse Cesarea e di lì Gerusalemme dove erano state ritrovate la tomba di Cristo e in una cavità poco distante le croci18 sulle quali crocifissero il Salvatore e i ladroni Disma e Gesta.
Dalla croce del Nazareno, che aveva rivelato le sue virtù taumaturgiche19, Sant’Elena prese tre frammenti che furono portati:
-          a Roma, nella basilica di S. Croce di Gerusalemme che fu fatta realizzare da Sant’Elena20;
 a     - Costantinopoli, nella basilica della Sapienza detta anche di  S. Sofia21;
   -    al vescovo Macario, nella stessa Gerusalemme. Questo frammento era  quello più considerevole e fu consegnato da Sant’Elena in un astuccio d’argento22.
 - La santa dalla Palestina portò, inoltre:
-               alcune spine della Corona che cingeva il capo di Gesù;  esse furono collocate in un reliquiario e  custodite nella cripta della basilica Sessoriana  (o S. Croce di Gerusalemme) in Roma23;
  -     i tre chiodi che trafissero le mani ed i piedi di Gesù, di cui uno fu conservato nella stessa cripta Sessoriana con la Corona di spine, un altro  fu inviato all’arcivescovo Agrizio (o Aquizio)24 perché  fosse custodito nella basilica di Treviri25, l’ultimo fu donato alla chiesa di  S. Giovanni in Monza26;
-              - i ventotto gradini del Praetorium (detta Scala Santa) percorsi da Gesù flagellato e coronato di spine27 quando si presentò a Pilato.
Durante  la permanenza in Palestina, Sant’Elena effettuò delle ricerche che condussero al ritrovamento della grotta della Natività a Betlemme e del luogo (sul monte degli Olivi) dove Gesù incontrò i suoi discepoli dopo la risurrezione (prima di salire al cielo). In queste due località Ella fece costruire due basiliche che suo figlio Costantino arricchì d’oro e di argenti.
La notizia del ritrovamento della Croce del Redentore  comportò che i pellegrini, in numero sempre crescente, si recassero a Gerusalemme. Per la loro profonda venerazione verso il Salvatore, alcuni di loro asportarono dalla Croce dei frammenti di legno.
 Sul finire della prima metà  del IV secolo, il vescovo Cirillo scriveva che “ il mondo è pieno di frammenti della Croce”28 e S. Giovanni Crisostomo29 dice che molte persone a Costantinopoli portano, in reliquiari d’oro attaccati al collo, una particella della Vera Croce30.
Tra i più illustri pellegrini che si recarono a Gerusalemme per pregare sul sepolcro di Cristo e cogliere l’occasione di prendere qualche frammento del santo Legno si ricordano:
          Paolo di Tebe, monaco egiziano vissuto tra il 228 e 340, il quale si prosternò davanti alla Croce “quasi pendentem Dominus cerneret “31.
          Il pellegrino di Bordeaux recatosi a Gerusalemme nel 333 riferì di aver visto “ la collinetta del Golgota su cui il Signore fu crocifisso e, a un tiro di pietra (m.40), la cripta in cui il Suo corpo fu deposto e donde il terzo giorno risuscitò”32.
          Desiderio, che fu invitato nel 393 da  s.Girolamo33 e dalla venerabile Paola34 a recarsi in Terrasanta solo per potersi mettere in adorazione dove sono posati i piedi del Signore è per lo meno un atto della nostra fede, senza contare, poi, la possibilità di contemplare le tracce – che sembrano del tutto recenti- della Natività, della Croce e della Passione35.
          Silvia Eteria (o Egeria)36, che, recatasi in Terrasanta nel 395 per visitare l’Anastasis, il Martyrium e ad Crucem (= Calvario), riportò nel suo “Peregrinatio Aeteriae” l’episodio di un fedele che, chinandosi sulla Croce per baciarla, ne distaccò un pezzo con un colpo di denti37.
          Paolino di Nola o di Bordeaux (353-431 d.C.)38 riferisce di aver ricevuto  un frammento della Croce da Melania Seniora39, a sua volta ricevuto, durante il soggiorno in Terrasanta, da Giovanni, patriarca di Gerusalemme. Di tale frammento, Paolino ne inviò  una scheggia “ non più grande di un atomo” al suo amico Sulpicio Severo, che glielo aveva chiesto per la chiesa che stava costruendo sulla tomba di S.Chiaro, a Primulachium, in Aquitania40.
          Il monaco Cosma, già custode della Croce della chiesa del  S.Sepolcro sino al 466, e suo fratello Crisippo41 ne inviarono diversi al monastero di sant’Eutimio.
          L’imperatore d’Oriente Giustino  II  (565-578 d.C.)  e sua moglie Sofia ne donarono a papa Giovanni II  (561-574 d.C.). Esso è contenuto in un medaglione incastonato in una croce latina di rame alta 41 cm. e rivestita di lamine d’argento dorato. Le braccia della  croce ,all’incrocio delle quali c’è il predetto medaglione, recano la seguente iscrizione:

LIGNO QUO CHRISTUS HUMANUM SUNDIDIT HOSTEM
DAT ROMAE IUSTINUS OPEM ET SOCIA DECOREM

  Questo reliquiario, denominato Crux Vaticana, fa parte del Tesoro di s. Pietro in Roma42.
        L’igumeno Stefano43, del monastero di S.Eutimio, fece incastonare alcuni dei frammenti in suo possesso in una croce d’oro ornata di pietre preziose; uno dei frammenti  fu donato a un benefattore del monastero, tale Cesare, originario di Antiochia44.
 Quando la Palestina era stata mèta di pellegrinaggi per via dei ritrovamenti dei Luoghi Santi45 ed erano stati elevati monasteri e chiese, le città marinare di Amalfi, Genova, Pisa e Venezia avevano rapporti commerciali con l’Oriente bizantino.

NOTE

18 Secondo la testimonianza di s. Cirillo riportata nella ”Catechesi” XIII,4,p.33, scritta nel 347 (Gaetano Moroni “Dizionario di erudizione stor. eccl, - vol. XVIII, Venezia 1843, p.234). S.Cirillo nacque  a Gerusalemme tra il 313-15. Fu elevato alla sede  episcopale di Gerusalemme e consacrato vescovo da Acacio,  Metropolita di Cesarea tra il 348 e 351.
19 A riconoscere la croce di Gesù dalle altre due si giunse attraverso due miracoli: una donna moribonda riacquistò la salute  appena toccata la vera Croce (E.Ianulardo “Sant’Elena imperatrice” –Tip. Sant’Agata di Puglia,1958,p.123; G. Moroni, o.c.,p.235);  Un morto, steso sul Legno, risuscitò ( Andrè Parrot, o.c., p.41;  Rouillon O.P., o.c., p.181; Secondo la “Storia Ecclesiastica “ di Rufino, I, 7,8;  Rizzoli-Larousse, o.c.,vol.IV,Milano 1967,p. 679.
20 G. Moroni, o.c., p.234.
21 Ibidem               p. 234
22 Ibidem               p. 235
23 Ibidem               p. 287;  E. Ianulardo, o.c., p. 142.
24 E. Ianulardo, o.c., p. 146.
25 Città della Germania occidentale costruita al tempo di Costantino il Grande.
26 Questo chiodo, secondo la tradizione, sarebbe stato destinato a formare l’anello di ferro che corre all’interno della Corona ferrea  conservata nel duomo di Monza fatto costruire da Teodolinda, regina dei Longobardi, morta nel 628 d.C. ( Rizzoli-Larousse, o.c., vol. IV, p. 536).
27 Scala di accesso alla cappella della Sancta Sanctorum  o  cappella di S. Lorenzo presso il Laterano.
28 S. Cirillo  “ Catechesi” 4,10.
29 S. Giovanni  Crisostomo, Padre della Chiesa d’Oriente e Patriarca di Costantinopoli  (344-407).
30 Rouillon O.P., o.c.,  p. 173.
31 N.U. Gallo “ La Croce Patriarcale della Basilica di S. Sepolcro di  Barletta “-  Ediz. Gazzetta della Provincia , p.64.
32 Geyer  “Itinera Hierosolymitana  20-23 ( Cfr. Andrè Parrot, o. c., p.40).
33 S. Girolamo (347- Betlem 420)  nel  335 si rifugiò in Oriente, a Betlem , con Paola ed Eustochio, dove fondò monasteri con ospizi per i pellegrini ( S. Girolamo “Le Lettere”; traduzione  e note di Silvano Cola, vol. I, lettere I-LII –Città Nuova Editrice, Roma 1962, p.354, lettera XLVII).
34 Paola (347-404), figura di cristiana e di monaca , legò la sua vita a quella di  s. Girolamo. Era nobile romana discendente da parte del padre dagli Abradi e da parte della madre dai Gracchi e dagli  Scipioni  (Giuseppe Stoico “L’epistolario di  s. Girolamo” – Napoli, 1972, p.67).
35 N.U. Gallo, o.c. a p.64  dice, invece: “…ove avrebbero potuto vedere la Croce e i segni lasciati dalla Passione di Gesù  Cristo”.
36 Monaca spagnola o gallica.
37 N.U. Gallo, o.c., p.66.
38 Di ricca famiglia senatoria, a 25 anni console, nel 379 governatore della Campania, prete nel 394, vescovo di Nola dal 409 al 431. Mantenne scambi epistolari con S. Agostino, S. Ambrogio e S. Girolamo. (Rizzoli-Larousse, o.c., vol XI;  Giuseppe Stoico,  o. c., p.63).
39 Melania Seniora (Roma 349-350/Gerusalemme 410), matrona romana; rimasta vedova, giovanissima si stabilì a Gerusalemme, dove fece costruire un monastero (378; considerata santa, mai riconosciuta ufficialmente) (Rizzoli-Larousse, o.c., vol.  IX, p.677).
40 Rouillon O.P., o.c., p.183 ;  N.U. Gallo, o.c., p.65.
41 Crisippo  (409-479) entrò con i fratelli Cosma e Gabriele come monaco della “laura” di sant’Eutimio presso Gerusalemme; ordinato sacerdote (455) divenne custode della santa Croce nella chiesa del S. Sepolcro a Gerusalemme ( Rizzoli - Larousse,  o.c.  voI. V, p.660 ).
42  Rizzoli – Larousse, o.c. vol. IV, Milano,1967,p.679;  N.U. Gallo,  o. c., p.62.
43 Stefano di Costantinopoli, detto il Giovane (715-764), monaco e martire, era igumeno  nel monastero di Sant’Aussenzio presso  Calcedonia;  combattè  l’iconoclastia e venne esiliato (762) per ordine dell’imperatore Costantino V. Riportato prigioniero a Costantinopoli nel 763, fu in seguito ucciso da alcuni ufficiali di palazzo ( Rizzoli-Larousse, o.c., vol.XIV,Milano,1971, p.376).
44 N.U. Gallo, o.c., p.68.
45 Erano legati alla vita di Gesù: la grotta di Betlemme, Nazareth, monte Tabor, il Cenacolo, il Calvario, la chiesa del s. Sepolcro, il Getsemani
(COPYRIGHT 2000 REGIONE PUGLIA  -  C.R.S.E.C.  BA/1   BARLETTA)

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ANNO 328 d.C.
QUI il riassunto del PERIODO di COSTANTINO  dal 306 al 337 d.C.

L'ANNO 328
* LA TERRASANTA
* ROMA CAPITALE DELLA CRISTIANITA'?
* ELENA A CACCIA DI RELIQUIE

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La comunità cristiana nella zona egiziana e palestinese era considerevole come numero e aveva alcuni autorevoli rappresentanti che erano capaci di farsi ascoltare, e non si confondevano con quelli Orientali o di Roma. Elena dovette dare molto ascolto a Macario e compagni, e con lui fece ricerche che non sappiamo quanto furono fruttuose e vere, ma sappiamo che scavando sul Golgota trovò tre pezzi di legno della Santa Croce, un chiodo, due spine della Corona e l' intero braccio della corona del Buon Ladrone. (ma trovò - ma non sappiamo se fu lei - anche qualcosa di stranissimo che citeremo a parte, in fondo).
Elena riunì i frammenti e vi fece costruire la attuale basilica della Santa Croce a Gerusalemme per custodirli, fece iniziare i pellegrinaggi dalle zone circostanti, poi se ne tornò a casa con parecchie reliquie non prima di aver comunicato a tutto il mondo utilizzando i corrieri postali di suo figlio Costantino, che erano state trovate le testimonianze del grande mistero di Gesù Cristo, dov'era nato, vissuto, morto e risorto e che si poteva ormai considerare il cristianesimo la vera e unica religione di Stato, cosa che poi Costantino si affrettò a fare, inviando un editto in ogni territorio dove si affermava appunto questa sua scelta (non aveva però ancora specificato di quale corrente, anche perché quella di sua madre era in contrasto  con la sua che a Nicea aveva rafforzato).
IL PREPUZIO DI GESU' CRISTO - Fra queste reliquie si disse anche che era stato trovato e ben conservato (come lo poteva essere è un mistero - ma la provvidenza fa questo e altro ) il pezzo di prepuzio di Gesù Cristo, toltogli quando - al pari di tutti maschietti ebrei- era stato circonciso. Le discussioni di quegli ecclesiastici in un consesso subito formatosi furono accanite, ma la vinse la corrente che diceva essere una testimonianza inoppugnabile. Da queste fonti l'autore che scrive non è riuscito a ricavare molto, ma è certo che o subito o in un secondo tempo questa reliquia fu portata in Italia, a Roma, e più precisamente nella chiesa di CALCATA sulla Cassia, alle porte di Roma (vicino all'odierno autodromo di Vallelunga).
Lì è rimasta questa reliquia venerata da tutto il paese fino a pochi anni fa (1970) nel giorno appunto della Circoncisione di Gesù Cristo, che come sappiamo cade il giorno di Capodanno, 1° Gennaio; e proprio in tale giorno veniva mostrata ai fedeli, finché un bel giorno il parroco della chiesa, comunicò ai propri fedeli che era stata rubata, cosa che molti non credettero e commentarono che essendo diventata quella reliquia un po' imbarazzante era stata "messa da parte".
Forse un po' in ritardo, perché non c'era mai stata mai nessuna certezza sulla sua autenticità , ma il fatto della sua sparizione andò a promuovere nei fedeli -non più da Medioevo- pensieri un tantino irriverenti. E speriamo che anche nel raccontare questo episodio nessuno ci accusi di altrettanta irriverenza, ma è un fatto storico che sta a significare come certe credulità siano nate arbitrariamente e fatte credere, da chi non aveva scrupoli a strumentalizzare fino a questo punto queste isteriche ingenuità così molte diffuse nel periodo di cui stiamo parlando.

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La venerazione delle reliquie
“Il Santo Concilio comanda ai vescovi e a coloro che hanno la funzione e l'incarico di insegnare [...] di istruire con cura i fedeli sugli onori dovuti alle reliquie [...], mostrando loro che i corpi santi dei martiri e degli altri santi, che vivono con il Cristo e che furono membra viventi di Cristo e tempio dello Spirito Santo [...], attraverso cui benefici numerosi sono accordati da Dio agli uomini, devono essere venerati dai fedeli”.
I decreti del Concilio di Trento 984 e 985, che fissano le linee di fondo della dottrina cattolica sulle reliquie, rappresentano il punto di arrivo di un processo, che affonda le sue radici nella pietas dei primi cristiani verso il corpo dei martiri. Essa riflette, almeno alle origini, non tanto il culto riservato dal mondo grecoromano agli eroi-culto che, al tempo in cui apparve il cristianesimo, mal si distingueva da quello riservato agli dèi -, quanto piuttosto gli usi funerari normali. Essi consideravano la sepoltura, la cura del corpo del defunto, le feste commemorative della morte, come doveri sacri; leggi rigorose proteggevano il luogo della sepoltura come luogo sacro, ne vietavano la profanazione e impedivano lo spostamento del corpo. L'importanza che il martirio assunse nella teologia, nell'apologetica, nella vita dei cristiani dei primi tre secoli sviluppò un vero culto dei martiri e delle loro reliquie, di cui il documento più antico è ìl Martyrtum Policarpi.
Nel culto delle reliquie - soprattutto per quanto riguarda gli sviluppi successivi al III sec. - confluisce, accanto alla pietas funeraria amplificata dalle dottrine relative al martirio e alla santità, anche l'idea che la potenza salvifica degli uomini di Dio sia un qualche cosa di fisico, che rimane inerente al corpo, vivo o morto, del santo, e che, da questo, possa trasmettersi agli oggetti che, in forme più o meno dirette, ne sono venuti in contatto. È una concezione molto antica, che si trova nella tradizione giudaico-cristiana (ad esempio, in 4 Re, 2,14, il prodigio operato dal mantello di Elia, ripreso dal miracolo evangelico dell'emorroissa. In Luca, 8, 46, Gesù dice: “Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza è uscita da me”), ma che è precedente ad essa e riflette una concezione magica delle reliquie.
Se, da un punto di vista dottrinale, i pronunciamenti ufficiali della chiesa non hanno mai cessato di insistere sul fatto che il culto reso ai santi consiste in onori riservati a uomini di cui si vuole celebrare la particolare unione con Cristo, e che i miracoli sono compiuti non dalle reliquie, ma da Dio attraverso di esse, tuttavia, a partire dal IV sec., i comportamenti concreti e generalizzati, che portarono a uno sviluppo abnorme ed incontrollabile delle reliquie, sembrano piuttosto allinearsi con la concezione poco sopra esposta.
Se le sedi di più antica cristianizzazione disponevano di numerose ed autentiche reliquie dei martiri, le nuove sedi (ad esempio Costantinopoli) le ottennero mediante traslazioni o smembramenti dei corpi, secondo un uso proibito dalle leggi imperiali (Codice Teodosiano, IX, xvn) - che fu prevalentemente orientale fino all'VIII sec. per divenire in seguito generalizzato.
Nel IX sec. troviamo un papa, Pasquale I (817-824), che fa spostare dentro Roma duemilatrecento corpi, che distribuisce fra le diverse basiliche. L'idea che il possesso del corpo di un santo costituisse, per la città, il villaggio, la basilica, un presidio insostituibile contro le malattie, le calamità, i disastri di ogni genere, i disordini, l'eresia e fosse un elemento insostituibile per la promozione e la fama di un luogo di culto, moltiplicò le inventiones di corpi attribuiti ai santi, nella maggior parte dei casi, sulla base di indicazioni derivanti da sogni, visioni o altri tipi di segni (ad esempio il profumo) miracolistici. Talora l'ansia di possedere il corpo di un santo diede luogo a contese ed a furti veri e propri.
Tra il VI e il VII sec., soprattutto in Gallia e nell'Italia settentrionale, si sviluppò il culto delle reliquie di contatto: gli abiti del santo, gli strumenti che ha usato, ma anche la pol vere grattata dal suo sepolcro, perfino l'olio della lampada che lo rischiara.
La conquista della Terrasanta (1204) aumentò ulteriormente la massa delle reliquie, facilitandone gli abusi: la compravendita di reliquie, la loro falsificazione, l'esistenza di reliquie multiple (ad esempio le diverse teste di Giovanni Battista, di cui una si troverebbe a Roma, un'altra in Francia, un'altra ancora a Damasco, meta dio pellegrinaggi musulmani). Abusi che, periodicamente, hanno suscitato critiche al culto delle reliquie, considerato dai suoi detrattori, interni (la prima documentata è quella del prete di Tolosa, Vigilantio, anno 403) ed esterni, come espressione di idolatria pagana e di sciocca superstizione.
Il testo, cui sono stati aggiunti i neretti e le interruzioni di paragrafo, è tratto dal Dizionario delle religioni, Einaudi, Torino, 1993.


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1 commenti:

controcorrente83 ha detto...

M.83 ha detto...
Qualcuno ha mai visto "la cronologia facciale" dei papi al vaticano? Alcuni miei amici ci sono andati, ma io no...

Questa cronologia è in una grande stanza simile a una navata di chiesa, e contiene dei grandi "tondi" con le facce dei vari papi che si sono succeduti nel corso della storia...

Qualcuno mi ha detto che dopo Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla), ci sarebbe stato un altro tondo e poi uno completamente nero...

L'ultimo tondo bianco dovrebbe corrispondere alla faccia di Benedetto XVI (Joseph Ratzinger), e dopo di lui, il tondo completamente nero...

Qualcuno mi conferma ciò che ho scritto?


Rispondi nel mio blog a questo post:

http://controcorrente83.blogspot.com/2011/01/lorigine-pagana-delluffizio-papale.html

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