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AFFARI & PREGHIERE DAL 1870 A OGGI: IL BUSINESS DEL VATICANO


Moneta del Vaticano«Inserito scidulam quaeso ut faciundam cognoscas rationem». Se il bancomat vi chiede «Inserire la tessera per accedere alle operazioni consentite», ma ve lo chiede in latino, non preoccupatevi. Non siete capitati in un film di fantascienza, né tanto meno state sognando. Siete semplicemente nella Città del Vaticano, davanti allo sportello dello Ior, l’Istituto per le opere di religione: la banca della Santa Sede.
Proprio quella resa famosa dalle gesta di monsignor Marcinkus e dalle trame che legano quell’acronimo ad alcune delle pagine più oscure della storia della nostra Repubblica, compresa la vicenda del bancarottiere siciliano Michele Sindona, consulente di Paolo VI.

LINGUA UFFICIALE - E siccome la lingua ufficiale del Vaticano continua a essere quella del Concilio di Trento, come ha ribadito anche papa Benedetto XVI, ecco che oltre in italiano e inglese il bancomat dello Ior parla anche in latino. Volete il saldo del conto corrente? Scegliete allora «Rationum exaequatio». Per avere gli ultimi movimenti bancari, è invece il caso di pigiare «Negotium argentarium». Mentre per il prelievo, il tasto sullo schermo è «Deductio ex pecunia». E non escono sesterzi, ma euro sonanti. Perché a dispetto della lingua degli antichi, lo Ior è una banca più che al passo con i tempi. Ha un patrimonio di 5 miliardi di euro. Non soltanto. Può fare transazioni bancarie in tutto il mondo utilizzando la belga Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication. E ha anche una specie di succursale nel paradiso fiscale delle Isole Cayman. Una struttura «distaccata dall’arcidiocesi di Kingston, in Giamaica, per fare capo direttamente alla Santa Sede, retta dal cardinale Adam Joseph Maida, membro dello Ior, con la qualifica di Superiore. Come tale ha la funzione di autentico deposito delle finanze pontificie, centro finanziario offshore», per usare le parole di Claudio Rendina. Nel suo libro L’oro del Vaticano, appena pubblicato da Newton Compton, c’è la storia e anche parte dei segreti di quella banca e dei soldi che copiosi scorrono sotto il Cupolone, nelle segrete stanze dove il sacro spesso ha rappresentato una comoda copertura di affari per nulla assimilabili a opere caritatevoli.
GENERE
POTERI - Ma se la fortuna delle finanze vaticane inizia paradossalmente con la presa di Roma, è con i Patti lateranensi, stipulati nel 1929 dal governo fascista, che avviene la consacrazione. Da allora viene ristabilito il potere temporale della Chiesa, che per giunta ottiene il pagamento di una somma enorme a titolo di arretrati: 750 milioni di lire dell’epoca, corrispondenti a svariati miliardi di euro di oggi. Come non bastasse, lo Stato italiano riconosce le vaste proprietà ecclesiastiche, assumendo una serie di oneri, per esempio le forniture idriche ed elettriche. «Accadrà - scrive Rendina - che il pagamento relativo a questi servizi di cui si è usufruito, utilizzando quelli del Comune di Roma, verrà sempre ignorato dalla Santa Sede, che senza pagare le relative fatture ha determinato un’insolvenza che si è protratta fino ai giorni nostri. E continua a gravare sulle casse dello Stato italiano». I Patti lateranensi sono l’occasione per moltiplicare gli investimenti. Con iniziative sempre più redditizie. E sempre meno guardando per il sottile. Tanto che «quando nel 1935 Mussolini ha bisogno di armi per la campagna d’Etiopia, gliene arriva una buona quantità dalla fabbrica di munizioni acquistata da Nogara (Bernardino Nogara, il finanziere del Vaticano, ndr) per la Santa Sede, che si trova così a finanziare un’operazione bellica».
OGGI - E senza sentire l’odore del denaro si arriva fino ai giorni nostri, con operazioni qualificate senza mezzi termini nel libro come «indegne dello spirito di carità». A questo proposito Rendina cita il recentissimo «Prestito della speranza», acceso con 30 milioni di euro raccolti nelle Chiese di tutta Italia allo scopo di sostenere le famiglie bisognose. Che non avranno quei soldi in dono (non sono forse offerte dei fedeli?) ma dovranno restituirli a un tasso (massimo) del 4,5%. Come un mutuo. Oggi, dopo i nuovi patti firmati da papa Giovanni Paolo II con il governo di Bettino Craxi, la Chiesa si finanzia con l’8 per mille dell’Irpef. Un sistema piuttosto singolare, perché soltanto la minoranza del contribuenti decide, sottoscrivendo l’apposita dichiarazione, di dare al Vaticano quei soldi. Nonostante ciò, la legge stabilisce che la fetta restante dell’8 per mille, quella non destinata esplicitamente ad alcuno, venga ripartita «in proporzione» alla parte «destinata», che va per l’80 per cento al Vaticano. Ecco perciò che le finanze della Santa Sede incassano ogni anno, per merito di questo codicillo, molti soldi in più rispetto a quelli che i contribuenti assegnerebbero loro di propria iniziativa. Grazie all’8 per mille. Rendina ha calcolato che il Vaticano abbia introitato dal 1990 al 2008 ben 14 miliardi 665 milioni di euro. Somma a cui si aggiunge un altro miliardo e 800 milioni di finanziamenti pubblici vari ottenuti negli ultimi dieci anni, come i contributi alle scuole cattoliche e agli insegnanti di religione. Senza poi contare i contributi diretti per alcuni grandi eventi come il Giubileo del 2000 (altri 250 milioni), l’esenzione dal pagamento dell’Ici che, secondo l’Anci (Associazione dei comuni), vale 700 milioni l’anno, le agevolazioni per il turismo cattolico, che pesano per altri 600 milioni…
Sergio Rizzo
09 agosto 2010


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