Coin Slider Gallery

Ciao, Benvenuto nel mio blog!

Puoi seguirmi sui social o sottoscrivere i feed.

Iscriviti al blog!

Ricevi per posta elettronica gli ultimi post. Basta inserire la tua email per iscriverti.

Condividi

barra social

0

PAPI CRIMINALI: LA RIVOLUZIONE INGLESE E L' ILLUMINISMO


Elisabetta I TudorElisabetta I Tudor morì nel 1603 e, alla fine della dinastia Tudor, il potere in Inghilterra passò a Giacomo I Stuart che si trovò un regno composto di Inghilterra anglicana, Irlanda cattolica e Scozia calvinista. Si possono capire i gravi problemi soprattutto religiosi che Giacomo I dovette affrontare fino al 1625 quando, alla sua scomparsa, la corona passò al figlio Carlo I Stuart. Da questo momento iniziarono gravi problemi di scontro tra il Re ed il Parlamento a partire da questioni fiscali. Nel 1628 il Parlamento approvò una petizione al Re, la Petition of Right, in cui chiedeva al Re il riconoscimento di alcuni diritti: non si dovevano imporre tasse ai cittadini
 senza che il Parlamento le approvasse; non si doveva privare un cittadino della libertà senza un processo regolare; un libero cittadino non deve essere affidato a tribunali speciali; un libero cittadino non può essere obbligato di alloggiare truppe nella sua casa. Carlo I non tenne conto di queste richieste e si mosse in modo da aumentare il malcontento. In particolare applicò a tutti i cittadini una legge che aveva valore solo in tempo di guerra secondo la quale solo le città marinare dovevano pagare una certa tassa (ship money). Ma l'Inghilterra non era in guerra e Carlo I per riscuotere la tassa si infilò in un conflitto esistente in Scozia. Restava comunque aperta la questione della tassa che era solo per città marinare. Questa fu la scintilla che che portò alla Prima Rivoluzione Inglese, ma insieme vi erano questioni religiose che Carlo I tentava di regolare d'autorità anche con conversioni forzate e spostamenti di popolazione da una regione ad un'altra.
        Carlo I, di fronte ad un Parlamento non ubbidiente, lo sciolse (1629) iniziando a governare come un monarca assoluto. E come ogni assolutista iniziò a elargire terre dell'Irlanda cattolica, che non si convertiva alla religione ufficiale, ai Pari d'Inghilterra ed ai suoi favoriti. Alle terre si accompagnavano grandi elargizioni di denaro, tali da preoccupare i tesorieri. Questo insieme di provvedimenti creò profonda indignazione nella società inglese. L'arbitrio del Re, che erogava a piacimento uffici e benefici, e l'avidità di favoriti ed arrivisti stava intaccando i meccanismi protettivi delle corporazioni e dei mestieri. Lo scontento era generale: commercianti ed artigiani contro i nobili; la piccola nobiltà contro i Pari; i Pari contro i favoriti del Re. La risposta al malcontento fu del tutto inadeguata e l'assolutismo aggravò i problemi con l'introduzione di nuove tasse e con il tentativo di uniformare tutti alla Chiesa Anglicana. Quest'ultima poi era, e come no ?, completamente schierata con il Re approvando norme di disciplina e principi dottrinali che riconoscevano il suo diritto divino.
        Il grande malcontento e l'incapacità di gestire alcune situazioni politiche fecero sì che il Re riconvocasse il Parlamento. Dopo una prima fase incerta, esso riuscì a diventare una vera forza rappresentativa del popolo che affrontò guidandola una durissima lotta contro la monarchia (1640-1660). Questo Parlamento definì anche le proprie prerogative (1641): il suo diritto di restare in sessione fin quando fosse ritenuto necessario; il suo diritto di non essere sciolto da autorità esterna; il suo diritto di nomina di vescovi e capi militari; il diritto di decidere sulla legalità o meno di determinate tasse. A lato di ciò dichiarò aboliti i Tribunali speciali; affermò che l'unica fonte di legge dovesse essere il diritto comune (Common Law); cancellò le leggi arbitrarie del Re; si costituì come Tribunale che processò e condannò a morte i due  più fidati mi9nistri del Re ed il capo della Chiesa anglicana (1641). Tutto questo mise in moto varie reazioni con scontri militari che, dalla parte del Parlamento, videro emergere la figura del gentiluomo puritano Oliver Cromwell. Costui aveva messo insieme, contro la corruzione e l'idolatria rappresentate da Carlo I, uno strano esercito di volontari che combattevano leggendo i Salmi della Bibbia e si organizzavano con dispute teologiche. Erano ben pagati con le tasse riscosse dal Parlamento e combattevano con la fede contro l'esercito del Re, riuscendo ad avere la meglio. Nel 1645 vi fu la sconfitta definitiva di Carlo I. Il tiranno cercò rifugio in Scozia ma gli scozzesi lo consegnarono al Parlamento inglese in cambio di denaro. Questo personaggio fu processato e condannato a morte. Fu decapitato nel 1649 quando il Parlamento e Cromwell decisero l'abolizione della monarchia e l'istituzione della Repubblica (Commonwealth). Cromwell viene nominato Lord Protettore della Repubblica ed esibisce un programma basato su: salvaguardia del diritto di proprietà, indipendenza della chiesa dallo stato, libertà religiosa, eliminazione di tutte le opposizioni estremistiche (1653). Ma Cromwell entrò subito in conflitto con i repubblicani intransigenti del Parlamento. Egli quindi lo sciolse (1655) ed iniziò un vera dittatura militare che durò fino al 1658, quando morì. Si tentò di proseguire con il figlio di Cromwell ma il malcontento generalizzato ed un esercito condotto da un ex seguace di Cromwell (George Monk) restituì i poteri al Parlamento e restaurò la monarchia (1660) nella persona di Carlo II Stuart, figlio di Carlo I. Non si trattava però di un ritorno al passato perché nessuno pensò più di togliere potere al Parlamento e sovrani assoluti non ve ne furono più.
        Ma un Re è sempre un Re e con Carlo II ricominciò l'arbitrio, la corruzione, il nepotismo e l'intolleranza religiosa. Si aggiungano poi le aperture sospette al cattolicesimo(22). Fu il Parlamento a prendere in mano la situazione difendendo i diritti civili acquisiti, votando le leggi che escludevano i cattolici dalle cariche pubbliche (Test Act, 1672, 1673, 1678) e quella che escludeva il fratello del Re, Giacomo (che sarebbe stato Giacomo II), dalla successione perché cattolico (Exclusion Bill, 1678). Questa legge non impedì a Giacomo II di accedere al trono alla morte del fratello (1685) e di far finta che il Parlamento non esistesse. In poco tempo abrogò varie leggi parlamentari come il Test Act e l'habeat corpus (il giusto processo). Sciolse la Camera dei Comuni e riprese cordiali relazioni diplomatiche con il Papa. Vi furono rivolte represse con estrema durezza. Le proteste si acquietarono pensando che Giacomo non aveva discendenza e presto avrebbe terminato il suo dispotismo di Re cattolico. La successione sarebbe andata a Guglielmo d'Orange di sicura fede protestante. Ma inaspettatamente nel 1688 venne fuori l'erede di Giacomo II. Iniziarono allora le rivolte che il Parlamento seppe indirizzare. Fu chiesto a Guglielmo d'Orange di intervenire. Questi attraversò la Manica ed entrò trionfalmente a Londra. Il Parlamento dichiarò decaduto Giacomo II che scappò rifugiandosi in Francia da Luigi XIV.
        Non si trattava comunque del solo cambiamento di una dinastia ma dell'inizio di quella che fu chiamata Gloriosa Rivoluzione che fu sancita da due atti di fondamentale importanza: la cacciata di Re Stuart fu basata su l'inadempienza di questi del contratto originario e fondamentale tra Re e Popolo; la dichiarazione dei diritti in cui erano elencate le leggi e le libertà fondamentali che tutti i sovrani dovevano giurare di rispettare prima di essere proclamati Re. Il potere del Re veniva definitivamente sottomesso al Parlamento, con la conseguenza che nasceva un nuovo tipo di Monarchia, quella costituzionale. In questi ultimi atti non vi fu spargimento di sangue, per questo ci si riferisce alla Rivoluzione Inglese come pacifica (anche se precedentemente vi furono varie guerre che provocarono molti morti).
        Questa Rivoluzione fu il seme dal quale si alimentarono tutte le Rivoluzioni liberali europee (e non solo) del XVIII e XIX secolo. Nel Parlamento si costituì subito il Partito Whig che diventerà poi Partito Liberale un membro del quale sarà quel John Locke, primo teorico dei regimi liberali a cominciare dai suoi Due Trattati sul Governo del 1690. Le funzioni fondamentali dello Stato liberale sono in sintesi quelle di tutelare la libertà, l'uguaglianza, la vita e la proprietà dell'individuo con la negazione dei privilegi dell'aristocrazia e del clero e dell'origine divina del potere del sovrano. E Locke definisce anche una giustificazione etica della rivoluzione, il diritto di resistenza che ciascun individuo può e deve esercitare quando lo Stato agisce in contrasto con la volontà popolare od in contraddizione con i principi costituzionali. E' uno degli aspetti dell'Illuminismo che riempirà di sé il XVIII secolo fino allo scoppio della Rivoluzione Francese.
        Ritornando alle vicende della Chiesa, il successore di Adriano VIII si troverà a che fare con una Inghilterra non solo anglicana ma patria di quella modernità che la Chiesa aborrì ed aborrisce.

DAI CRIMINALI AGLI INCAPACI

        Dopo un conclave lunghissimo (5 mesi) con lotte furibonde tra differenti fazioni, con lo squadrone volante che cercava di imporsi e con tumulti e proteste popolari ed anche con una nuova fazione, quella degli zelanti(23) (che avevano maturato l'idea che una riforma della Curia fosse ormai improrogabile, e che la pratica del nepotismo non fosse proprio più difendibile), fu eletto il cardinale Antonio Pignatelli, uno degli zelanti, che assunse il nome di Innocenzo XII (1691-1700), battezzato Pulcinella da Pasquino, ma solo per il suo aspetto fisico. Innocenzo fu infatti un uomo di Chiesa un vero uomo dedito a rimettere un poco di ordine nel disastro e nella corruzione generalizzata. La principale attività di riforma nella Curia e della Chiesa fu indirizzata contro il nepotismo innanzitutto con il suo esempio. Impedì ad ogni suo parente di mettere piede in Vaticano e quando, dovendo nominare dei cardinali, gli fu fatto il nome dell'arcivescovo di Taranto come persona degnissima egli rispose: E' vero ma è mio nipote, e quindi non nominato. Ma al di là degli aneddoti egli operò contro il nepotismo innanzitutto con una costituzione, la Romanorum decet Pontificem del 1692, quindi con un libretto, che incaricò di scrivere a Celestino Sfrondati, il Nepotismus theologice expensus, quando nepotismus sub Innocentio XII abolitus fuit, nel quale vi era una ricostruzione storica degli enormi danni provocati dal nepotismo. Infine pretese ed ottenne il giuramento dei cardinali (unito al suo) sulla costituzione contro il nepotismo.
        Anche la sua attività di pontefice fu esemplare: fu caritatevole con i poveri; aiutò le donne inabili al lavoro alloggiandole in Laterano, ormai non più abitato dai pontefici trasferitisi al Quirinale; anche gli uomini privi di lavoro furono ospitati a San Michele a Ripa Grande; affrontò le grandi calamità che si abbatterono su Roma (peste, terremoto ed inondazione del Tevere) dando fondo alle riserve di cassa del Vaticano con cui dette soccorso ed assistenza a tutti i disastrati (come egli diceva, i suoi veri nipoti).
        Altri suoi interventi riguardarono la migliore organizzazione delle dogane e l'unificazione dei tribunali nel nuovo Palazzo di Montecitorio (architetto Fontana) allora chiamato Curia Innocenziana. Soprattutto intervenne sul lassismo ella Curia e del clero istituendo la Congregazione per la disciplina del clero che doveva essere rispettata pena la riduzione allo stato laicale. Vedremo oltre come andrà a finire.
        A livello di politica estera si occupò delle missioni in Asia, Africa ed America incrementandole ed anche di cercare di risolvere le controversie con la Francia del Re Sole riuscendovi solo in parte, nel senso che almeno il paventato scisma si allontanò, ma dovendo rinunciare ad una autorità totale sul clero francese che si mantenne abbastanza autonomo da Roma e con il Re che affermò di non poter intervenire. Comunque la credibilità, non tanto della Chiesa quanto di questo Papa, crebbe al punto che Carlo II di Spagna (figlio di Felipe IV ed ultimo Asburgo di Spagna), non avendo figli, chiese al Papa a chi lasciare il trono. Inn0ocenzo affidò la questione ad una commissione che si pronunciò in favore dei figli dell'erede al trono di Francia, sposo di Maria Teresa che era sorella maggiore di Carlo II. Questo parere fu preso in considerazione e così si fece nel testamento di Carlo II. Carlo II morì nell'anno in cui morì Innocenzo ed ambedue non videro la conclusione della vicenda che provocò una guerra.
        Poi venne il giubileo del 1700, evento che Innocenzo non riuscì a portare a termine per la sua scomparsa.
        Ilo conclave che seguì vide lo squadrone volante impegnato nella prosecuzione della politica di Innocenzo, riforma della Chiesa e neutralità internazionale. Ma la vicenda della successione spagnola aveva riscaldato gli animi e, proprio mentre il conclave era in corso, arrivò la notizia della morte di Carlo II. Quanto messo a testamento da Carlo II su indicazione della commissione di Innocenzo, la successione cioè spettante a Filippo d'Angiò nipote di Luigi XIV, non fu tenuto in conto e vi fu chi rivendicò quel trono, e cioè Leopoldo I d'Austria (o d'Asburgo o del Sacro Romano Impero), figlio di Ferdinando III d'Austria e nipote di Felipe III di Spagna da parte di madre  (Leopoldo aveva varie ragioni per rivendicare quel trono). Il problema, gravissimo, scoppiò nel 1701 con il Trattato dell'Aia con il quale l'Inghilterra e le province olandesi si allearono con Leopoldo I per sostenere i suoi diritti al trono di Spagna e, contemporaneamente, difendere i propri diritti sulle rotte commerciali marittime, seriamente minacciate dalla nuova alleanza franco-ispanica che proprio il Papa Innocenzo aveva aiutato a costruire. Questa situazione portò alla guerra di successione spagnola del 1702 che vide allearsi a Francia e Spagna Vittorio Amedeo II di Savoia ed i Principi di Baviera e Colonia. Intanto nel 1703 Filippo d'Angiò salì al trono di Spagna con il nome di Felipe V.
        Il Papa tentò una neutralità alla quale nessuno credette anche perché egli stesso aveva inviato ingenti finanziamenti a Felipe V prelevati dalle casse della Chiesa. Alla morte di Leopoldo I nel 1705, il suo successore Giuseppe I d'Asburgo non attese oltre e distolse parte dell'esercito impegnato con la Francia per invadere lo Stato Pontificio (1708). Clemente sperò in un aiuto dei francesi prima che gli imperiali arrivassero a Roma. Ma tale aiuto non venne e ciò costrinse Clemente ad un trattato con il quale riconosceva l'arciduca Carlo, fratello di Giuseppe, legittimo Re di Spagna. Un Papa era di nuovo riuscito a rendere ridicola la posizione della Chiesa sul piano dei rapporti internazionali. Il Re di Francia si indignò per il voltafaccia e Clemente si trovò a tale mal partito che più volte manifestò l'intenzione di dimettersi da Papa. E ciò faceva piovere sul bagnato perché la stima che aveva precipitò al suolo tanto che lo stesso Giuseppe non prese neppure in considerazione la restituzione delle terre di Romagna che aveva occupato quando invadeva lo Stato della Chiesa. Come conseguenza grave vi fu la totale estromissione della Chiesa ai trattati di pace che seguirono la guerra di successione (Trattato di Utrecht del 1713 tra Francia ed Inghilterra e Trattato di Rastatt del 1714 tra Francia e Carlo VI d'Asburgo, succeduto a Giuseppe I nel 1711), trattati che definirono la struttura dell'Europa fino a circa il 1850. In proprio la Chiesa perse il Ducato di Mantova e quello di Piacenza e Parma.
        La credibilità della Chiesa era definitivamente perduta e ciò ebbe una ricaduta in campo interno, in Italia, dove il Papa perse sempre più credito avviando un lento ma inesorabile processo di laicizzazione. Clemente tentò di recuperare la sua credibilità con la popolazione facendo opere di bene, distribuendo denaro, facendo il mecenate, costruendo opere pubbliche anche fuori Roma, facendo il nepotista con la sua città d'origine piuttosto che con i nipoti e ripristinando il gioco del lotto. Ma non ci fu nulla da fare perché risultò sempre impacciato ed incapace i gestire gli affari di Stato e con un credito demolito del tutto.
        Il nuovo conclave fu una ripetizione delle solite rivalità politiche, questa volta con Francia e Spagna insieme contro l'Austria. La vinse così un neutrale molto malandato e debole che, tutti pensarono, avrebbe comunque permesso a tutti di continuare con i propri comodi. Fu eletto il cardinale Michelangelo Conti, colui che dorme sempre come diceva Pasquino, che assunse il nome di Papa Innocenzo XIII (1721-1724). Non era proprio all'altezza, il pover'uomo. Anche come nepotista non fu bravo perché riuscì a nominare solo un suo fratello cardinale. Politicamente ebbe un duro scontro con i Gesuiti che avrebbero incarcerato altri missionari. Niente altro da segnalare avviandoci al successivo conclave ripetizione dei precedenti con, di nuovo, lo squadrone volante che vinse tra i contendenti dei soliti Paesi (Francia, Spagna, Austria). Fu eletto il cardinale  Pier Francesco Orsini che assunse il nome di Papa Benedetto XIII (1724-1730). Era della famigerata famiglia Orsini ma si rivelò mite ed austero anche se assolutamente incapace di essere all'altezza del suo compito e, come scrisse il cardinale Prospero Lorenzo Lambertini, futuro Papa Benedetto XIV, non aveva la minima idea di ciò che è governare.
        Fece l'asceta vivendo quasi da povero con la sua massima occupazione che fu, insieme alle funzioni religiose, la modifica delle fonti battesimali nelle chiese in modo da riportare il battesimo alle origini con l'immersione. Questa attività di Benedetto fu descritta anche da Montesquieu  nel suo Voyage d'Italie (1728).
        Benedetto ebbe anche il culto dei santi e fece molte canonizzazioni. Criticò aspramente il lusso dei cardinali e si pronunciò contro l'uso di barbe e parrucche da parte degli ecclesiastici. Regolò il modo di vestire con sanzioni dure: tra l'altro si prevedeva l'abito lungo per gli ecclesiastici ma senza strascico. Ai Gesuiti vietò qualsiasi polemica. Vietò il peccaminoso gioco del Lotto legandolo all'usura e decretò pene maggiori, anche di carcerazione e denuncia all'Inquisizione, per le donne perché più vi ricorrevano. Conseguenza di ciò fu che molti soldi andarono ad arricchire le ruote di altri Stati, ruote sulle quali i romani passarono.
        Il suo zelo religioso fu appagato con il giubileo del 1725 quando ebbe anche modo di inaugurare la scalinata di Trinità dei Monti. Ed egli pensava che Roma fosse una città santa, ma si illudeva e di molto. L'osservatore attento e distaccato Montesquieu annotava: Una pubblica simonia regna oggi a Roma; non si è mai visto, nel governo della Chiesa, regnare il delitto così apertamente. Uomini vili sono preposti da ogni parte alle cariche [300 anni sembrano passati invano ! ndr].
        Poiché era incapace di ogni azione di governo, il poveretto si era fidato di un bandito, l'arcivescovo di Benevento Niccolò Coscia, al quale aveva affidato il governo delle finanze e della politica. Coscia portò la gestione dello Stato Pontificio al disastro finanziario con un traffico indecente di favoritismi e malaffare, arricchendosi spudoratamente e con tutto il denaro di Roma che va a finire a Benevento (Montesquieu). Inoltre, poiché il Papa è un debole ed incapace, che ritiene calunnie quelle rivolte contro Coscia, sono i Beneventani che dirigono la sua debolezza, e siccome è gente da nulla, manda avanti gente da nulla (Montesquieu). Tutto ciò fece odiare Benedetto dai Romani che vedevano spogliata la città da estranei ignobili e pure da nulla.
        Con questo governo la politica internazionale praticamente non esisteva. O meglio era fallimentare perché la Sardegna, storicamente pontificia, passò senza battere ciglio a Vittorio Amedeo II di Savoia che fu pure riconosciuto Re di Sardegna. Il savoiardo ottenne anche il diritto sulle diocesi sarde, tramite pagamento di una tangente a quel delinquente di Coscia.
        E con questi risultati entusiasmanti, si concluse questo indegno pontificato che lasciò spazio ad un lunghissimo conclave nel quale nuove forze intervennero per interessi propri: i Savoia (sostenuti dal cardinale Albani) ed i Medici (in via d'estinzione). Questi ultimi temevano di perdere il granducato che era un protettorato pontificio e quindi corruppero tutti con l'intervento delle loro banche a Londra, Parigi e l'Aja. Fu così eletto il cardinale fiorentino Lorenzo Corsini che assunse il nome di Papa Clemente XII (1730-1740).
        Il personaggio era stato scelto perché si intendeva di finanza e si confidava in lui per raddrizzare l'edificio ormai cadente delle finanze vaticane alle quali erano venute a mancare le regalie, tutti i rediti delle varie terre e vescovadi, in terra di Francia, Sardegna, Meridione d'Italia. Ciò che fece fu del tutto deludente perché stampò un poco di moneta e ripristinò il Lotto (che non fu più considerato gioco peccaminoso). Per il resto non vi sono cose di rilievo da raccontare al suo attivo fors'anche perché era divenuto cieco nel 1733 e tutti gli affari di Stato furono affidati al nipote, il cardinale Neri Corsini, anch'egli incompetente. Tutto allora passò alla Curia con grande gioia di tutti i gaudenti perché ripresero le spese pazze, la corruzione, il clientelismo, il nepotismo, la simonia ed il lusso.
        Sempre più decadeva la credibilità dello Stato Pontifico ormai trattato a pesci in faccia tanto che, per una delle infinite guerre, l'esercito spagnolo venne a fare arruolamenti forzati a Roma con ribellione dei cittadini che assaltarono le sedi spagnole a Roma e a Velletri gettarono dei soldati di quel Paese dalle mura. Anche l'ennesimo trattato di Pace, quello di Vienna del 1738, non contò minimamente sull'esistenza della Chiesa e prese decisioni contrarie ai suoi interessi. A Napoli e Sicilia si insediò Don Carlos di Borbone; in Toscana, schiaffo al Papa, il potere passò ai Lorena; cadevano molti privilegi ed altre entrate in vari Paesi.
        Di rilievo, anche per le future conseguenze, fu la presa di posizione di Clemente contro la Massoneria che comparve a Firenze nel 1733 e a Roma nel 1735. Il Papa scrisse una Bolla di condanna nel 1738, In Eminenti, con la quale scomunicava gli aderenti all'associazione perché, come riassume Rendina, "essa univa uomini di ogni religione, e setta sotto la parvenza di compiere doveri di etica naturale, obbligandoli col giuramento e la minaccia di castighi a mantenere segreto quanto veniva deliberato nelle diverse logge".
        Niente di più su questo Papa oltre al fatto che, mentre discutiamo di molte cose, l'Inquisizione, anche se meno intensamente, continuava ad operare(24) e l'Encyclopedie veniva messa all'Indice dei libri proibiti.

L'ILLUMINISMO

        Questa vicenda della Massoneria è sintomatica di un clima che andava crescendo in Europa. Dopo la Rivoluzione Inglese andavano diffondendosi in modo sempre più esplicito i suoi ideali che riconoscevano l'uomo e la ragione al centro del vivere civile. Era l'inizio di una sfida gigante contro tutti i detentori di antichi privilegi, nobiltà e clero, sfida che culminerà nella Rivoluzione Francese. Ora siamo in pieno Illuminismo quel movimento d'opinione che da Locke (ragion politica) e Newton (ragione scientifica) stava interessando le persone colte di quella classe borghese che, in connessione con i nuovi modi di produzione (manifattura al posto di artigianato), andava affermandosi, la borghesia. L'Illuminismo non fu una corrente di pensiero filosofico ma un movimento culturale variegato che aveva in linea di massima alcuni ideali di fondo: la libertà e l'uguaglianza sociale, i diritti umani, la laicità dello Stato, la scienza e il pensiero razionale. Esso si muoveva contro ogni metafisica essenzialmente su tre grandi linee-guida:
1) La ragione è in grado di spiegare tutti i più grandi problemi dell'uomo. Lo spirito scientifico ha il primato su ogni forma di oscurantismo.
2) L'uomo 'illuminato' ha il dovere di difendere la cultura. Occorre che i filosofi naturali, essi stessi, facciano i divulgatori dello spirito scientifico. L'operazione di divulgazione porta con sé il superamento delle vecchie credenze che sono ancora alla base della diffusione, e quindi del potere,della religione. A tale proposito Locke aveva osservato: C’è ragione di credere che se gli uomini fossero più istruiti, tenterebbero molto meno di imporsi al proprio prossimo. Si noti che la più grande opera di divulgazione che fino ad allora fosse stata intrapresa è l’Encyclopedie, alla cui realizzazione lavorarono quasi tutti i principali pensatori francesi sotto la direzione di D’Alembert e Diderot. Dopo gli attacchi dei Gesuiti (1752), che vi trovarono frasi eretiche tanto da invocare l'Inquisizione, e varie proibizioni e censure da parte del Consiglio di Stato fino al divieto di vendere o possedere l'opera, l'Encyclopedie fu condannata da Clemente XIII nel 1759.
3) La condizione umana può essere radicalmente migliorata proprio dall'abbattimento di miti, pregiudizi, superstizioni. L'uomo che si è impadronito dello spirito scientifico può progredire.
Utile per delineare sommariamente l'Illuminismo, che non fu fondamentalmente né antimonarchico né antireligioso e che anzi prese idee ed ebbe collaborazione sia da uomini di Chiesa che da Sovrani,  è quanto scrisse Kant per spiegarlo:
L'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a sé stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a sé stessi è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! – è dunque il motto dell'illuminismo. Sennonché a questo illuminismo non occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. Ma io odo da tutte le parti gridare: — Non ragionate! — L'ufficiale dice: — Non ragionate, ma fate esercitazioni militari. — L'impiegato di finanza: — Non ragionate, ma pagate! — L'uomo di chiesa: — Non ragionate, ma credete.
        Questa grande fiducia nelle possibilità, dell'uomo nasceva certamente dai grandi successi che, nel secolo precedente, la filosofia naturale aveva conseguito. Ed il massimo sintetizzatore di quei successi e di quella filosofia naturale era proprio Newton che ora si ergeva a modello da imitare. Con l'uso dei metodi scientifici indicati da Newton sarebbe stato possibile sbarazzarsi dei residui scolastici e metafisici presenti in Descartes ed in Leibniz. D'altra parte le filosofie cartesiana e leibniziana rispondevano bene agli interessi di chi manteneva vecchi privilegi e pertanto, da questi ultimi, erano state accettate e rese funzionali al loro sistema di potere. La lotta quindi contro il cartesianesimo ed il leibnizianesimo, per l'affermazione della filosofia di Newton, aveva in sé una grande carica rivoluzionaria e si configurava come lotta di potere con l’illusione che, di per sé, l'affermazione del newtonianesimo avrebbe comportato quella di nuove classi sociali (la borghesia appunto).
         Fu certamente il grande impegno di un uomo come Voltaire che riuscì a far conoscere al grande pubblico francese l’opera di Newton. Furono poi i lavori di Condillac, Helvetius, Diderot, D’Alembert e molti altri che imposero le nuove idee nel continente. E' di grande interesse l'opera di Voltaire Lettere Inglesi ed in particolare la XIV (scritta tra il 1726 ed il 1729). Voltaire era stato allontanato dalla Francia perché non gradito per le sue satire politiche. Nel 1726 si recò in Inghilterra dove resterà per circa 3 anni. Venne così a contatto con una società, con delle istituzioni avanzatissime rispetto a quelle francesi. In Inghilterra vi era già stata la rivoluzione liberale, la borghesia aveva preso il potere e amministrava il Paese con grande efficienza che faceva bella mostra di sé soprattutto se confrontata con la staticità della monarchia francese. Voltaire ebbe modo di conoscere l'opera di grandi pensatori inglesi quali Bacon, Locke e Newton che saranno ispiratori dell'Illuminismo francese. Voltaire, pur nelle contraddizioni che lo caratterizzarono (ammirava l'Inghilterra, pur sognando non un Parlamento ma un monarca illuminato; polemizzava violentemente con la Chiesa pur credendo ad un principio divino; ... ), coglieva l'arretratezza del pensiero dominante del suo Paese nella filosofia di eredità medioevale di Descartes (pur difendendo il filosofo dai suoi detrattori, ad esempio, riguardo alle sue fondamentali scoperte in matematica). Gli argomenti che porta a sostegno delle aperture filosofiche di Newton rispetto alla filosofia cartesiana, sono riportati nella citata Lettera XIV (25).
         Dal punto di vista della teoria dello Stato nella prima metà del Settecento si ebbero importanti contributi del citato Montesquieu tra cui la sua opera fondamentale, De l'esprit des lois (Lo spirito delle leggi). Pubblicato in forma anonima nel 1748. In essa prendono forma i principi di uno Stato liberale che deve separare i poteri, il legislativo, l'esecutivo ed il giudiziario, per garantire il cittadino dall'arbitrio ed dal sopruso del potere dello Stato. A questo punto il discorso andrebbe troppo lontano perché nascono divisioni di pensiero che sono alla base dello stesso movimento illuminista. Nascono le prime differenze tra liberalismo e democrazia della quale ultima fu sostenitore Rousseau; Voltaire per parte sua fu più propenso al dispotismo illuminato; insomma nasceva quel necessario dibattito e quella naturale differenza di opinioni, sempre impedita nei secoli precedenti, che è alla base della costruzione di uno Stato moderno. Locke, Adamo Smith, Kant, per parte loro, definirono alcune regole alla base della costruzione di buone leggi:
l'essere norme generali applicabili a tutti, in un numero indefinito di circostanze future;
l'essere norme atte a circoscrivere la sfera protetta dell'azione individuale, assumendo con ciò il carattere di divieti piuttosto che di prescrizioni;
l'essere norme inseparabili dall'istituto della proprietà individuale.
        Ho fatto solo un cenno di problemi fondamentali alla base della convivenza civile (che in Italia non abbiamo ancora) e tutto ciò mi serve per mostrare lo iato enorme esistente tra i dibattiti in seno alla Chiesa e  quelli in seno all'Europa. A questi dibattiti gran parte dell'Italia era assente ed ancora oggi ne paga pesantemente le conseguenze.
        E l'insieme di queste teorie dello Stato non erano meri esercizi teorici perché, proprio in quegli anni trovavano pratici interpreti nelle Colonie sia inglesi che francesi in America. Fu proprio da una protesta dei coloni per le restrizioni loro imposte nei commerci e  per le tasse che la corona inglese voleva imporre (Stamp Act,1765) a far partire il movimento che portò all'indipendenza ed alla Costituzione americana (No taxation without representation). Franklin e Washington furono coloro che coordinarono la protesta verso la madre patria e portarono alla separazione da essa sulla base di principi elementari ben presenti nel movimento illuminista: essere sottoposti a leggi che non si era contribuito a formare equivaleva per i coloni alla schiavitù; i coloni sentivano cioè di essere trattati dall'Inghilterra come schiavi. Seguirono altri atti che i coloni (soprattutto quelli del Nord) ritennero contrari ai loro interessi e favorevoli a compagnie commerciali e latifondisti. A ciò si rispose iniziando con il rivendicare l'autonomia amministrativa in un Congresso riunito a Filadelfia (1774) con Franklin che tentava di costruire una federazione tra Inghilterra e Colonie d'Oltremare. Ma ormai le cose erano andate molto avanti tanto che iniziarono gli scontri armati tra l'esercito inglese ed i volontari delle Colonie fino alla Dichiarazione d'Indipendenza del 4 luglio 1776, redatta da Jefferson, Franklin e Adams e firmata dai rappresentanti delle Colonie. Naturalmente il tutto non finì qui. L'Inghilterra non demordeva e continuò con la guerra nella quale entrò anche la Francia che, per propri interessi politico-economici, si allearono con le Colonie (successivamente entrò in guerra anche la Spagna). Un primo trattato di pace con il riconoscimento degli Stati Uniti ci fu a Parigi nel 1783 (l'Inghilterra perse le Colonie ma rimase la più grande potenza marittima, la Spagna riconquistò Menorca mas iniziò a disgregarsi, la Francia si impossessò del Senegal e di Trinidad and Tobago ma si dissanguò economicamente e militarmente tanto che qualche anno dopo i rivoluzionari ne avrebbero tratto beneficio).
        Gli indigeni d'America (gli indiani) persero invece tutto. Furono sterminati da questi puritani inglesi e dai cattolici francesi. Un vero genocidio che ha lasciato solo qualche sopravvissuto da esibire a fini economico-commerciali in circhi e fiere.
        E poiché siamo in America, seguiamo in breve un'altra vicenda che riguarda direttamente la Chiesa e la sua politica, quella delle Missioni dei Gesuiti sul Rio Paranà e suoi affluenti, a nord delle grandi rapide e cascate del Rio Iguazù, zone abitate dagli indigeni guaraní.

LE MISSIONI DEI GESUITI SUL RIO PARANÀ

        Una delle attività missionarie dei Gesuiti si svolse in America del Sud in una zona lungo l'alto Rio Paranà ed i suoi affluenti che è situata tra gli attuali confini di Argentina, Paraguay, Brasile, Uruguay, Bolivia. Le prime missioni, che venivano chiamate reducciones de indios o riduzioni, sorsero nel 1610 e ad esse ne seguirono molte altre fino a circa la metà del Settecento. Quelle riduzioni, approvate dalla Corona spagnola ma ostacolate dai coloni e dalle autorità ecclesiastiche locali e coloniali, che interessavano circa 140 mila abitanti (autorizzati da Felipe IV di Spagna ad avere armi), erano situate in posizioni tali da impedire o rendere molto difficile il commercio degli schiavi praticato nella zona soprattutto da portoghesi e spagnoli (erano famosi i Bandeirantes o paolisti, cioè schiavisti brasiliani). Dal punto di vista dell'organizzazione esse erano dei piccoli villaggi fortificati autonomi a struttura teocratica organizzati anche urbanisticamente in modo razionale, con una perfetta geometria che in gran parte si ripeteva nei diversi villaggi. Una grande piazza per le riunioni intorno a cui vi erano i piccoli edifici delle abitazioni, delle scuole, del culto. Una sorta di grandi conventi con adattamenti agli usi e costumi locali che, grazie alle attività agricole introdotte dai Gesuiti (coltivazione del cotone, del mate), godettero una certa prosperità. Tutto era in comune e regolato da orari e regole precise. Uno storico dell'epoca, Ludovico Antonio Muratori, nel suo Cristianesimo felice nelle missioni de' padri della Compagnia di Gesù nel Paraguay (1743-1749), così le descrive: Quelle piccole repubbliche possono in una certa maniera appellarsi come numerosissimi monasteri, dove son meravigliosamente regolate tutte le faccende sia spirituali che temporali della giornata e provveduto al mantenimento di ognuno. Vi si viveva una forma di comunismo volontario, che le stesse circostanze storiche concorrevano a rendere accettabile: il fatto che fuori delle riduzioni gli indios sarebbero stati vittime delle violenze dei bianchi con rischi di divenire schiavi; il forte senso tribale e comunitario degli indios; la dimensione relativamente modesta della popolazione di una riduzione.

I resti di una riduzione
       Tutto andò bene fin quando le pressioni dei coloni, della Chiesa locale e dei trafficanti di schiavi non crebbe. Si iniziò con l'obbligare gli indios ad abbandonare sette riduzioni, attualmente in territorio brasiliano, perché sorgevano in una regione destinata alla Corona del Portogallo dall'accordo tra Portogallo e Spagna firmato a Madrid nel 1750 (spagnoli e portoghesi si accordarono per una rettifica dei confini tra i rispettivi possedimenti. Secondo la nuova demarcazione le sette riduzioni, per un totale di circa centomila indios, venivano a cadere in territorio portoghese con la conseguenza che il loro destino era segnato). L'accordo non fu accettato né dagli indios né dai Gesuiti. Nel 1752 giungeva a Buenos Aires Lope Luis Altamirano, mandato dal padre Generale dei gesuiti come visitatore delle riduzioni, con pieni poteri per quanto concerneva l'applicazione del trattato dei confini. Gli indios tentarono di opporsi all'applicazione del trattato con azioni di resistenza che però non avevano alcuna possibilità di riuscita. Il via al massacro degli indios era arrivato dal papa Benedetto XIV per esaudire i desideri di sovrani cattolici come quello portoghese e spagnolo. In una località attualmente nel Brasile del sud si scontrarono l'esercito ispanoportoghese, costituito da 1700 uomini, e un numero uguale di indios guaraní. Caddero 1311 indios, 152 furono fatti prigionieri e gli altri fuggirono nella vicina foresta. Ma la guerra durò sei anni, dal 1750 fino al 1756, con la ovvia sconfitta degli indios. Gli indigeni rimasti subirono un triste destino: i loro terreni furono occupati, furono privati dei loro averi, subirono abusi di ogni sorta da parte degli europei, furono costretti a rapinare per sopravvivere, molti morirono di fame e molti furono schiavizzati. Coloro che riuscirono a sopravvivere vennero incorporati nelle milizie portoghesi e spagnole per essere coinvolti in massa in tutti i conflitti regionali che seguirono. I Gesuiti furono accusati dagli di aver incitato gli indios alla rivolta. Questi ultimi invece rinfacciavano loro di essersi venduti al nemico. Fu il Portogallo ad aprire la strada alla soppressione dell'ordine. Il marchese di Pombal, capo del governo, entrò in aperto conflitto con i gesuiti per questa vicenda. Il marchese inviò a Papa Benedetto XIV una relazione in cui accusava i gesuiti di avidità di denaro e sete di potere e li denunciava di essere al centro di scandalose operazioni commerciali. Da qui una serie di reazioni a catena che portarono all'espulsione dei Gesuiti da vari Stati europei e annesse colonie. Nel 1758  venivano cacciati dal Portogallo, nel 1764 dalla Francia, nel 1767 dalla Spagna (dove l'ordine rappresentava un ostacolo all'assolutismo monarchico), sempre nel 1767 da Napoli e Sicilia, nel 1768 dal regno delle due Sicilie e da Malta, sempre nel 1768 da Parma; l'espulsione dei gesuiti dalle riduzioni, avvenne nel 1768 per ordine di Carlo III re di Spagna. La Compagnia di Gesù si avviava così verso la soppressione, avvenuta per ordine del papa Clemente XIV il 21 luglio 1773. Le riduzioni furono affidate a domenicani e francescani.

RITORNIAMO ALLE PICCOLE COSE PONTIFICIE

        Il conclave si svolse come in un film già visto. Altre potenze con differenti alleanze si scontravano: da una parte la Francia alleata con l'Austria e dall'altra la Spagna alleata con Napoli e la Toscana. Una mediazione possibile, ma dopo sei mesi di scontri, fu l'elezione del cardinale Prospero Lambertini che assunse il nome di Papa Benedetto XIV (1740-1758).
        Fu persona amabile e spiritosa. Molto semplicemente si avvicinava alla gente che usava frequentare come un prete ordinario. Da queste frequentazioni capì qual era la miseria che regnava a Roma e nei territori dello Stato Pontificio. Tentò di alleviare le sofferenze aiutando in solido i bisognosi con i denari tratti dai risparmi nelle spese dello Stato, risparmi dettati non da un economista ma da una persona di buon senso.
        Si rese conto che il pensiero illuminista si faceva strada ovunque con gravi rischi per il Cristianesimo che risultava screditato dall'uso della ragione. Capì che la lotta contro il nuovo non avrebbe prodotto risultati e che sarebbe stato invece necessario essere tolleranti mantenendo uno spirito di conciliazione universale. In tal senso egli iniziò un dialogo senza pregiudizi tra differenti religioni, anche con i protestanti e gli anglicani (questi ultimi eressero una statua in suo onore con la scritta al migliore dei pontefici). Il suo operato in politica e nei fatti religiosi, una meteora purtroppo, era ispirato proprio a principi di tolleranza e conciliazione ed è ben descritto da Rendina:
 Alla luce di questo ideale non importava che le terre dello Stato pontificio ''venissero campo di battaglia durante la guerra di successione austriaca; il papa stesso offriva il libero passaggio alle truppe e pur di raggiungere il suo scopo era ben lieto di sopportare il «martirio della neutralità». Era dolorosa sì la perdita definitiva ad Aquisgrana di Parma, Piacenza e Guastalla, passati a don Filippo di Borbone, ma era il sacrificio compiuto in nome di un ideale evangelico, nell'adattamento ai tempi che cambiavano. E su questa scia è lecito il sospetto subentrato allora in molti uomini della Curia, che nel profondo del suo animo Benedetto fosse convinto di liquidare col tempo in gran parte il potere temporale della Chiesa. Di qui si «giustificano» tutti i concordati stipulati con le diverse nazioni europee, verso le quali si mostrò remissivo, convinto com'era che la rinuncia ai diritti temporali favorisse la rinascita spirituale della Chiesa di Roma. Dal concordato col re di Sardegna, nominato vicario apostolico nei feudi pontifici disseminati nel suo Stato, a quello con il re di Napoli, in una limitazione al diritto delle immunità ecclesiastiche; da quello con la Spagna, nella concessione al re del diritto universale di patronato per cui egli poteva concedere a chiunque ben dodicimila benefici esistenti, restandone a Roma soltanto cinquantadue, a quello con il Portogallo, al cui re Benedetto concesse il titolo di «re fedelissimo in un'apposita costituzione.
E ancora questo papa permise all'imperatrice Maria Teresa di tollerare nei suoi Stati i protestanti, pur raccomandandole di cercarne con cristiana dolcezza la conversione, e riconobbe ufficialmente il re di Prussia, fino allora considerato dalla Santa Sede semplice marchese di Brandeburgo. Ma in compenso questo sovrano favorì i cattolici nel suo Stato. «Si direbbe che egli scorga», come ha notato ancora il Falconi, «l'origine della decadenza del prestigio pontificio proprio nella tendenza dei papi non solo ad atteggiarsi ma a comportarsi da sovrani, con pretese di supercontrollo universale» che erano ormai storicamente superate. Non vi traspare un comportamento avventato, ma l'oculatezza piuttosto di chi «non vede nell'apparato della Chiesa un meccanismo di potere, ma semplicemente un complesso di uffici amministrativi al servizio di tutte le Chiese locali».
Anche se Benedetto XIV fu una meteora nel cielo della Chiesa di Roma [...] ciò non toglie che egli abbia costituito ugualmente una scossa per il papato: era «l'abbandono del rigido non possumus, gli occhi aperti finalmente sulla realtà, il riconoscimento delle situazioni create dalla riforma del XVI secolo», come nota Zizola.
Questo papa ebbe infatti anche una lucida visione dei problemi strettamente ecclesiastici, chiarendo incertezze e lacune, ma con un rispetto per le opinioni in una distinzione tra dogmi e teorie. Cosi lo vediamo togliere alcune feste di precetto, che secondo una costituzione di Urbano VIII erano 36, a parte le domeniche; ma lo vediamo anche premere sui vescovi per una stretta vigilanza sulla formazione dei chierici nei seminari. Approva due nuove congregazioni religiose, i Passionisti di S. Paolo della Croce e i Redentoristi di S. Alfonso de' Liguori; ma si dà anche anima e corpo ad una riforma del Breviario, che non riuscirà a completare, pur rilasciando dei principi che resteranno validi, come appunto quello della limitazione delle feste. Non agiva in questo come avversario del culto dei santi; lo guidava piuttosto un principio di credibilità e di funzionalità che si augurava in tal modo potesse fruttare la loro venerazione. [...]
Del resto Benedetto XIV non si tirò indietro neanche nelle opere della città, sia in quelle a scopo umanitario, come l'ingrandimento degli ospedali di S. Spirito e S. Gallicano, sia in quelle a carattere religioso. Fece costruire la chiesa di S. Marcellino, rinnovò la facciata di S. Maria Maggiore, con l'edificazione al suo interno del sontuoso baldacchino sull'altare papale, e nel centro del Colosseo fece elevare la croce dichiarando quel luogo sacro per il sangue versatovi dai cristiani, secondo un'antica e peraltro falsa tradizione. Ma evidentemente, santificando l'anfiteatro, il papa intendeva soltanto preservarlo da ulteriori saccheggi, facendo sì che non fosse più considerato una vera e propria cava di travertino.
        Come alcuni storici sostengono (Ranke, ad esempio) morì prima di conoscere bene la vicenda dei Gesuiti, facendo l'errore di credere alo sovrano portoghese, altrimenti sarebbe intervenuto per riformare l'ordine. In ogni caso egli si occupò delle missioni e nel 1741 emise la bolla  Immensa Pastorum principis contro lo schiavismo nelle Americhe ed in altre due bolle Ex quo singulari e Omnium solicitudinum denunciò il costume di aggiustare parole e usi cristiani per esprimere realtà non-cristiane e pratiche delle culture indigene. Certamente fece opera eccelsa al rimuovere i Tribunali dell'Inquisizione in Toscana e a fermare i massacri precedenti (e che purtroppo seguiranno) ma rinnovò la condanna della Massoneria. Si oppose alla canonizzazione del Bellarmino perché avrebbe fatto danno alla Chiesa. In definitiva anche Pasquino ebbe da dire bene di questo Papa ben sapendo che una rarità occorre tenersela cara. Ebbe anche qualche apertura verso la scienza nel permettere la dissezione dei cadaveri che Bonifacio VIII aveva vietato. E verso la cultura in genere quando pregò gli estensori degli indici di essere più attenti e di togliere i pregiudizi dal giudizio. I successivi 200 anni cancelleranno completamente il suo operato che verrà addirittura attaccato da un tal Pio XII. Non si sa cosa disse in punto di morte, probabilmente la parola con cui intercalava sempre i suoi discorsi: Cazzo !, parola che voleva elevare al rango di sacralità dando indulgenza plenaria a chi la pronunciava almeno 10 volte al giorno. Ma non vi è Papa che non abbia vergogne dentro qualche armadio e Benedetto XIV ne aveva una gigante. Ci informa di questo Marina Caffiero nel suo Battesimi forzati. Storie di ebrei, cristiani e convertiti nella Roma dei papi (Viella 2004). Benedetto XIV fu uomo della svolta anche nei rapporti del papato con gli ebrei: una svolta involutiva però. Intanto va ricordata la sua bolla Beatus Andreas del 22 febbraio 1755. In essa viene raccontata la storia del bambino di Rinn, Andrea Oxner, nell'ambito dell'antica leggenda secondo la quale gli ebrei ammazzerebbero dei bambini a scopo rituale. Alla famiglia di Andrea degli ebrei versarono una certa somma per comprare il piccolo di 3 anni. In un boschetto di betulle, non molto distante dal paese, immolarono Andrea su una pietra, detta da allora “Judenstein” (pietra degli ebrei). Dopo averlo circonciso, quale ultimo sfregio, appesero il cadaverino ad un ramo di betulla, nei pressi di un ponticello. Era il 1462. Da allora la pietra fu oggetto di pellegrinaggi con miracoli annessi. La bolla ebbe l'effetto di ufficializzare la pretesa barbarie degli ebrei nei riguardi dei bambini e, pur non potendo beatificare il piccolo in mancanza di prove documentali, Papa Benedetto lo dichiarò Quasi Beato. Ma il crimine più odioso di Benedetto furono le due lettere scritte tra il 1747 ed il 1751, lettere nelle quali egli tentò di costruire la giurisprudenza su un argomento che aveva sempre fatto discutere gli ebrei contro le istituzioni ecclesiastiche che andavano in cerca di conversioni dei medesimi. Le lettere erano in puro stile ipocrita, cioè ecclesiastico, che alterna il paternalismo con la repressione come del resto sempre fatto dai papi con gli ebrei. Per la prima volta si codificava in questi documenti la pratica della conversione,  comunque fosse avvenuta, indipendentemente da ogni ragionevole dubbio, e al di là di ogni garanzia giuridica, in base al principio indiscutibile del favor fidei. Ciò vuol dire che la Chiesa non si interessava, del consenso dei genitori al battesimo dei loro figli, o del consenso individuale al proprio battesimo, deciso e disposto da altri. Tutto ciò per maggior gloria di Gesù. La Caffiero riporta una casistica che dire vergognosa è dolce eufemismo. Nonni paterni che "offrono" alla chiesa i loro nipotini, fregiandosi di diritti di patria potestas. Nonne che si arrogano gli stessi privilegi nei confronti di nuore rimaste precocemente vedove. E poi, ancora, fidanzati respinti che cercano di impalmare chi li aveva rifiutati, denunciandone il desiderio espresso, e quanto mai improbabile, di abbandonare la fede ebraica; madri che si vedono spogliare dei propri figli, quando non di quelli che hanno ancora in grembo, da mariti che hanno appena varcato le mura del ghetto; e così via, in un crescendo di sprezzo, da parte delle autorità ecclesiastiche, della umana pietas e di totale mancanza di rispetto per i sentimenti primordiali dell'individuo. Le lettere di Benedetto XIV, oltre a definire legalmente quanto già barbaramente fatto,iniziarono a forzare molti casi rimasti in sospeso a cominciare dalla proibizione del battesimo dei fanciulli invitis parentibus, cioè contro la volontà dei genitori, che per secoli ne aveva rappresentato il cardine ispiratore. E così troviamo bambini di tre anni che vengono fatti passare per cinquenni, età che veniva in genere collocata nella fase puberale. Giovani donne che, dopo essere state rinchiuse a forza nella Casa dei catecumeni per essere sottoposte alla quarantena di rito atta a vagliarne la disposizione alla conversione, vengono trattenute ben oltre col pretesto che il loro scrutinio doveva sì durare quaranta giorni, ma solo a partire dal momento in cui avessero smesso di tapparsi le orecchie e si fossero mostrate ben disposte a lasciarsi imbonire. Madri, nella stessa condizione, che vi vengono segregate perché incinte - e Dio non volesse mai che andassero a partorire in ghetto: la chiesa avrebbe rischiato di perdere un'anima preziosa per il suo gregge, perché, si sapeva, gli ebrei preferiscono uccidere i loro figli pur di non consegnarli alla verità di Cristo. Di questa giurisprudenza ne fece uso Pio IX, come vedremo, con il caso Mortara. Di queste cose si parla poco soprattutto in Italia, il Paese della brava gente.
        Il seguente conclave sembrava trovare tutti d'accordo su una figura come quella di Benedetto XIV e cioè su un Papa neutrale ma attivo e non un semplice fantoccio. Tutto bene fin quando non si pose il problema dei Gesuiti che Benedetto XIV aveva lasciato in sospeso perché troppo complesso per essere risolto negli ultimi giorni del suo pontificato. Con i veti continui della Francia si arrivò ad un neutrale tutto particolare perché era un devoto ma bigotto, un istruito ma non colto, un tradizionalista legato al passato retrivo tanto che si era battuto per la canonizzazione di Bellarmino. Fu eletto il cardinale Carlo Rezzonigo che assunse il nome di Papa Clemente XIII, un incolore ed abulico che in vari anni non era mai riuscito a prendere una posizione sui Gesuiti.
        Il suo papato si descrive molto in breve. Fu il Papa che volle coprire le nudità delle opere d'arte nei Musei Vaticani e fu quello che con l'affare Gesuiti perse ogni credibilità dello Stato Pontificio, quel minimo che aveva recuperato Benedetto XIV. Accettò infatti senza fiatare la cacciata dei Gesuiti dai vari paesi cattolici d'Europa e da altre sedi oltremarine. Si impuntò solo con il Borbone di Napoli minacciandolo di scomunica. Ciò irritò tutti gli altri Paesi con la conseguenza che varie terre della Chiesa furono occupate (solo l'Austria di Maria Teresa simpatizzò per il Papa perché la stessa Maria Teresa era affezionata all'ordine, ma la cosa finì in simpatia). Di nuovo lo Stato della Chiesa era precipitato nel nulla. Nessuna considerazione era ad esso dovuta tanto che tutti i Paesi in coro chiesero lo scioglimento della Compagnia di Gesù e Clemente XIII dovette fissare la data del concistoro che avrebbe deciso in tal senso, il 3 febbraio 1769. Ma lo strazio che provò nel dover prendere una tale decisione fu tale che il giorno prima morì lasciando di nuovo in sospeso la questione della Compagnia di Gesù che contava circa 23.000 membri in 42 provincie.
        Il conclave che seguì fu segnato quasi esclusivamente dalla pendente questione dei Gesuiti. Vi erano cardinali schierati a sostegno di questa o quella corte europea, vi erano gli zelanti cioè coloro che erano per la rigida tradizione. Aleggiava già il problema di una Chiesa che abbandonasse il potere temporale, ma aleggiava solo. I contrasti furono violenti e si proseguì con un numero interminabile di votazioni sempre a fumata nera. Accadde poi l'incredibile. Arrivò fin dentro il conclave il primogenito di Maria Teresa d'Austria, l'arciduca Giuseppe. Gli fu permesso insieme al fatto che poté parlare con tutti i cardinali facendo discretamente sapere che, nonostante quanto notoriamente pensava la madre, egli era per lo scioglimento dell'ordine dei Gesuiti. Le trattative vennero così rese pubbliche che l'idea stessa di conclave (chiusi a chiave) perdeva ogni significato. Risultò eletto il candidato che sembrava più propenso a sopprimere l'ordine (lo aveva promesso a voce agli ambasciatori di Francia e Sapagna), il cardinale Giovanni Vincenzo Antonio Ganganelli che assunse il nome di Papa Clemente XIV (1769-1774).
        Il programma di Clemente XIV era ambiziosissimo, riappacificarsi con tutti i governi cattolici ridando credibilità al Papa. Buoni propositi che non tenevano conto di una Curia corrotta che circondava il Papa. Ogni persona di fiducia, ogni consigliere era un corrotto che badava agli interessi personali più che a quelli della Chiesa che era, appunto, solo un pretesto per fare ciascuno gli affari propri come è praticamente stato da sempre. Riuscì a pacificarsi con il Portogallo ma non ci fu nulla da fare con Carlo III di Spagna che pretendeva prima lo scioglimento dell'Ordine dei Gesuiti. Questo era però un tasto dolente e Clemente tergiversava e più lo faceva con giustificazioni stupide e più perdeva credibilità lui e la Chiesa con lui. Finalmente scrisse un breve, Dominus ac Redemptor, con cui la Compagnia di Gesù veniva sciolta (21 luglio 1773). I vescovi locali furono nominati delegati apostolici per eseguire la soppressione delle case situate nella loro diocesi. Il Papa voleva comunque evitare incidenti ma, anche qui, non ci fu nulla da fare perché il generale dell'Ordine, Lorenzo Ricci, fu arrestato a Roma (dove lo scioglimento avvenne il 16 agosto), portato a Castel Sant'Angelo dove morì (24 novembre 1775) prima che finisse il suo processo. Tutti i sovrani cattolici esultarono. Particolarmente i Borbone che ringraziarono Clemente XIV, che era invece in profonda crisi per aver sciolto l'Ordine, restituendogli territori in precedenza occupati (Avignone, Benevento, Pontecorvo). Il Papa si preoccupò di chiedere a questi governanti di rispettare i Gesuiti che non erano più tali ma restavano chierici della Chiesa. Nei Paesi non cattolici non vi furono scioglimenti ed i Gesuiti proseguirono ad operare costituendo il nucleo che rifonderà l'ordine nel 1814.
        Niente più da aggiungere su questo Papa che lasciò il passo ad un nuovo conclave che elesse Pio VI, il Papa durante il regno del quale (1775-1799) scoppiò la Rivoluzione Francese. Questo avvenimento è uno dei più importanti della storia dell'umanità e lo è anche per l'incidenza fondamentale che ebbe sul potere della Chiesa, non solo in Francia, ma nel mondo.
        Tutto questo merita un'ampia discussione che svilupperò nel prossimo articolo.
Roberto Renzetti
Per l'opera completa vedere qui:


Iscriviti ai feed Seguimi su Facebook Seguimi su Twitter Seguimi su Youtube Seguimi con NetworkedBlogs

0 commenti:

Posta un commento

condividi

Condividi