Il film sul pontefice depresso divide i fedeli. Da un parte chi lo ritiene irriverente: non si scherza col Vaticano. Dall’altra chi minimizza: è garbato e divertente. Interviene anche la Cei: "Un’opera complessa e superficiale ma non offensiva".
Ciak si gira lo psicodramma per una commedia. Personaggi e interpreti: critici cinematografici, vaticanisti, intellettuali cattolici, intellettuali atei e atei devoti, Papa-boys, monaci benedettini studiosi di Freud, il quotidiano della Cei, la Commissione di valutazione film dei vescovi. Habemus Papam è «offensivo». No, è «complesso ma superficiale». «Non offende i cattolici». Invece va querelato.
Il film di Moretti è uscito nelle sale da cinque giorni e già siamo in overdose da dibattito - pensa un po’ che beffa -
in paranoia da filologia morettiana. Chissà come si arriverà al 22 maggio, giorno di chiusura del Festival di Cannes dove la pellicola è stata invitata in concorso. Comunque, una cosa è certa: il più divertito è lui, Giovanni Nanni Moretti da Brunico, malmostoso regista or giunto al suo undicesimo lungometraggio. Chi gli è vicino lo descrive distaccato, silente eppure di buonumore. Figurarsi se il polverone alzato soprattutto in ambienti cattolici non era stato previsto per un’opera che, in un registro grottesco e visionario, immagina il rifiuto del soglio pontificio di un cardinale, qui chiamato Melville con geniale citazione dell’autore di Bartleby lo scrivano, aduso a rispondere «preferirei di no» ai comandi del suo superiore. E figurarsi se tante accuse e tante critiche non finiranno per fare da cassa di risonanza al film che godrà di un’enorme pubblicità gratuita.
«Sul mio lavoro c’è libertà di opinione, chiunque può dire qualsiasi cosa, ma io non commento», aveva concesso, magnanimo, il regista ospite di Che tempo che fa. E, dunque, ora si starà fregando le mani. Dalla querela del sito Pontifex per offesa al «decoro del Papa» alla scomunica dei Papa-boys che ritengono «un’offesa al cristianesimo» far uscire il cine-uovo «in prossimità della Pasqua» (e non risparmiano una lezioncina nemmeno al Vaticano per le immagini dei funerali di Wojtyla concesse «a questa stupida pellicola»), passando per il realismo di Vittorio Messori («la guerra santa è una mossa sbagliata»), il ventaglio delle reazioni è completo. E coinvolge anche gli intellettuali: dalla stroncatura preventiva di Camillo Langone, che su Libero elenca tre buoni motivi per evitare la visione, fino a Giuliano Ferrara che ha concluso il suo intervento con un «Non l’ho visto e già mi piace». In mezzo si colloca Mario Tarquinio, il direttore di Avvenire che, rispondendo ai lettori, confessa che vorrebbe ancora andare a vedere il film, «ma se continua così mi faranno passare la voglia». Ieri, infine, è intervenuta anche la Cei: «Sulla crisi di identità che attanaglia il neo eletto pontefice, il regista getta uno sguardo di comprensione ampia e generosa». Ma, si legge nella nota della Commissione valutazione film, dal punto di vista pastorale si tratta di un’opera «complessa e segnata da superficialità».
Sembra contraddittorio il giudizio della Cei, ma in realtà non lo è. Habemus Papam è certamente un film che si presta a infinite letture, come confermano le molte disparate reazioni. Un film tanto più complesso in quanto si avventura su un terreno irto di difficoltà, sommamente per un artista privo della dimensione religiosa. Secondo le parole del regista, Habemus Papam è un’opera «sulla difficoltà di essere all’altezza delle aspettative degli altri». È «un elogio dell’inadeguatezza». Se è un’opera estranea alla fede lo è perché, più che immedesimarsi nella fragilità di un uomo al vertice della Chiesa, in realtà Moretti ha come sfondo psicologico la propria esperienza personale di rinuncia alla leadership della sinistra anti-berlusconiana alla quale lo aveva sospinto la stagione dei girotondi.
Al termine di una tormentata fuga per le vie di Roma e nei sogni mancati della propria gioventù, il cardinal Melville riesce a spiegare al popolo di Piazza San Pietro le ragioni del proprio rifiuto («sono fatto per essere condotto, non per condurre»). Moretti, invece, ha confermato anche stavolta, come già in Palombella rossa, Caro diario, La stanza del figlio, Il Caimano, di praticare un cinema che tratta temi forti come la crisi della sinistra, il tumore, la morte di un figlio, il potere. Qui tratteggia una Chiesa debole. Ma se nel farlo dimostra di non avere il dono della fede, i cattolici dovrebbero dispiacersene per lui. Invece di imputarglielo come una colpa.
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