di Galileo Ferraresi
Fino alla fine del 1800 si pensava che il Diluvio Universale fosse una sorta di favola o mito religioso della bibbia (genesi 8,4) senza nessun punto in contatto con la realtà ma verso il 1880 iniziarono a circolare le prime copie della traduzione dall’accadico dell’Epopea di Gilgamesh, testo assiro in cui, con nomi diversi, si propone la stessa situazione del Diluvio biblico. Una storia senza contatti con la realtà può esistere, ma due cominciano ad essere un indizio, direbbero gli eroi dei romanzi gialli.
Quando si parla di Diluvio si fa una piccola confusione: si parla sia di piogge improvvise e che durano per tantissimo tempo e si parla anche di un’innalzamento enorme delle acque dei mari dovuto alla pioggia. Si pensa che la pioggia abbia innalzato il livello dei mari al punto da sommergere tutte le terre.
È semplicemente impossibile: nella Terra e nell’atmosfera che la circonda non esiste la possibilità di avere tanta acqua. Si tratta di due cose diverse: una pioggia che durò per tantissimo tempo e una (o più di una) onda che travolse tutto, ove per “tutto” si intende quello che conoscevano i pochi sopravvissuti.
Se vi trovate su un’imbarcazione sollevata da un’onda vi sembrerà che “tutto” il mondo (costa o altre barche) sia in basso, e più l’onda è alta più sembrerà che il mondo che vi circonda sia inghiottito dal mare. Non c’è nulla da fare, l’uomo è fortemente egocentrico e come tale trova più semplice pensare che il mondo venga inghiottito dalle acque piuttosto che pensare di essersi alzato dalla superfice su cui si trovava poco prima.
Ai primi del 1900 furono avvistate per la prima volta i resti dell’Arca di Noè, o di qualcun altro, nei pressi di un ghiacciaio sul monte Ararat in Turchia ad un’altezza di circa 3500 metri. Furono effettuate decine e decine di spedizioni, riportati anche alcuni campioni di legno fossile dell’Arca e scattate delle foto[1].
Il mito del Diluvio ha ormai assunto connotazioni assurde: non si può ammettere che sia piovuto tanto da portare una nave di 110 metri di lunghezza a oltre tremila metri perché non può esistere tanta acqua sulla Terra, non si può pensare che qualcuno abbia costruito una nave a quell’altezza e in un luogo dove, con le moderne tecnologie, si riesce a resistere per pochissime ore, eppure la nave è là e dimostra che qualcosa di “particolare” deve essere successo.
Nel 497 a. e. v. Platone scrisse Il Timeo, il testo più citato da Aristotele, in cui si tratta della sfericità della terra, del suo movimento, del movimento delle stelle e dei pianeti, e in cui compare un’affermazione a dir poco interessante.
Un sacerdote egiziano di Sais (l’antica capitale culturale, politica ed amministrativa dell’Egitto) parlando con Solone gli disse: "Voi greci siete giovani e non sapete nulla di ciò che successe[2]… gli uomini sono stati distrutti e lo saranno ancora in vari modi. Dal fuoco e dall'acqua ebbero luogo le distruzioni più grandi, ma se ne verificarono altre di molti altri tipi come la leggenda che si racconta presso di voi che Fetonte rubò il carro del dio sole e non riuscendo a condurlo sul percorso normale incendiò tutto quello che c'era sulla terra e morì lui stesso[3]… La verità é questa: a volte si verifica una deviazione del movimento dei corpi che circolano in cielo. Ad intervalli di tempo molto grandi tutto ciò che é presente sulla Terra finisce per eccesso di fuoco. Coloro che abitano le montagne e i luoghi secchi muoiono più di coloro che vivono vicino ai mari e ai fiumi. Al contrario, quando gli dei purificano il mondo con l'acqua, tutti coloro che vivono vicino ai fiumi e ai mari sono travolti dalle acque e si salvano solo coloro che vivono sulle alte montagne, così si salvano solo i rozzi montanari e la civiltà deve ricominciare da capo.[4]"
Non vi sono dubbi sul fatto che il sacerdote parlasse di distruzioni avvenute varie volte sulla faccia della Terra, generate da fattori differenti, avvenute in tempi antichi ma pur sempre durante l’esistenza dell’uomo. Lo scritto cinese in cui si parla di alluvioni dovute ai fiumi che invertirono il loro corso trova una precisa corrispondenza in Platone quando riporta l’affermazione sulla distruzione dovuta all’acqua. La Cina e l’Egitto parlano di distruzioni simili.
L’Agricoltura
Dodicimila anni fa ebbe luogo la rivoluzione paleolitica: gli uomini iniziarono a coltivare la terra. Questo fenomeno avvenne contemporaneamente in tutta la terra. Dopo più di centomila anni d’esistenza improvvisamente l’homo sapiens inizia a coltivare. Perché non prima, perché non dopo, perché tutti assieme e contemporaneamente ma soprattutto perché gli uomini di tutto il mondo iniziarono a coltivare sulle montagne? Tutti sanno che si fa meno fatica a coltivare in pianura che in montagna, nessuno se non vi fosse obbligato dalla necessità coltiverebbe i terreni montagnosi. I tre luoghi più fertili della terra sono la pianura Padana, la valle del fiume Giallo e il delta del Mekong, eppure l’uomo del paleolitico che è stato in grado di realizzare la più grande invenzione della storia, l’agricoltura, nonostante avesse tutta la terra di questo mondo a disposizione è stato tanto scemo da iniziare a coltivare in montagna.
Il famoso botanico russo Nikolai Ivanovich Vavilov (1887-1943) scoprì che l’agricoltura ebbe inizio contemporaneamente in tutto il mondo negli altipiani oltre i 1500 metri d’altezza. Questa scoperta coincide straordinariamente con le affermazioni di Platone nella Repubblica in cui dice che la civiltà nacque sugli altipiani e con le affermazioni del sacerdote Egizio citato nel Timeo secondo il quale dopo una catastrofe da acqua si salvano solo i montanari e la civiltà nasce di nuovo. Ma non è tutto, dagli studi di Vavilov e di J. R. Harlan si deduce che l’agricoltura iniziò circa 11.600 anni fa, la stessa data a cui Platone fa risalire la distruzione di un continente mitico, Atlantide. Platone dice che Atlantide fu distrutto 9.000 ani prima di Solone, se consideriamo che visse 2.600 anni fa abbiamo che la fine di Atlantide fu nel 9.600 prima dell’era volgare, 11.600 anni fa, esattamente la data calcolata dai botanici.
Per spiegare il perché dell’agricoltura in montagna proviamo a pensare che cosa può essere accaduto quando l’asse terrestre si è spostato.
Supponiamo che un grosso meteorite abbia colpito la terra, nel luogo dell’impatto e per varie centinaia di chilometri tutto è stato immediatamente distrutto dall’urto e dall’energia sprigionatasi poi l’asse terrestre ha iniziato a spostarsi provocando ovunque terremoti, crolli e frane, l’acqua degli oceani a questo punto spinto dalla massa dei continenti in movimento ha iniziato ad allagare le terre che si spostavano verso di lui e a ritirarsi da quelle che si allontanavano dalla posizione precedente. Dopo essere penetrato nelle pianure il mare ritirandosi ha formato un’onda di dimensioni enormi che richiamata dal vuoto lasciato dal lato opposto degli oceani ha percorso varie volte la terra distruggendo tutto quello che trovava sul proprio percorso. Finita la forza distruttrice le terre sotto i 1500 metri d’altezza si sono trovate allagate, o comunque inzuppate d’acqua di mare che, essendo salata, non ha permesso la coltivazione fino a quando, secoli, millenni dopo l’acqua piovana non ha completamente dilavato il sale permettendo la coltivazione in zone più basse. Le prime coltivazioni fuori dagli altipiani e le prime civiltà sono dislocate lungo le valli dei fiumi partendo dall’alto. I pochi sopravvissuti a questo cataclisma furono, come scritto nel Timeo, le persone che in quel momento erano in montagna, oltre i 1500 metri.
Se una cosa simile succedesse oggi quante persone si salverebbero? Pochissime, non sappiamo se sarebbero montanari rozzi come scrive Platone, ma di certo sarebbero pochissime e difficilmente e solo a prezzo di grandi stenti riuscirebbero a procurarsi da mangiare e a far rinascere la civiltà ripartendo dall’agricoltura “sugli altipiani”.
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[1] Fatto “curioso” è che le foto sono identiche al disegno dell’arca sul monte Ararat che compare nella carta del mondo di Grazioso Benincasa nel 1492. I cartografi del ‘400 conoscevano il mondo meglio degli astronauti USA di 500 anni dopo!
[2] Platone, Timeo, 20e.
[3] Platone, Timeo, 22b
[4] Platone, Timeo, 22d
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