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LA AUSCHWITZ DEL VATICANO

Di Massimo Mazzucco

1°- Parte 
Chiesa e fascismo 
I concordati della Chiesa 
All’alba della II Guerra Mondiale 
CAVEAT: Questa pagina è ancora da completare e da verificare. E’ possibile che contenga qualche inaccuratezza storica.

INTRODUZIONE

 
Non è solo nei campi di concentramento tedeschi che trovarono la morte le vittime della persecuzione nazista nella II Guerra Mondiale. Nella neonata Repubblica di Croazia, fondata unilateralmente nel 1941 dal dittatore-fantoccio Ante Pavelic, furono selvaggiamente trucidati circa a mezzo milione di serbi, 40.000 ebrei, migliaia di Rom e altre etnie minori, nel famigerato campo di concentramento di Jasenovac, comandato dai frati francescani. 
La vicenda di Jasenovac rappresenta una delle pagine più oscure di tutta la storia della Chiesa cattolica. Tutti i crimini commessi dal clero avvennero infatti sotto la diretta responsabilità del cardinale Stepinac, arcivescovo di Zagabria, con la diretta connivenza della Santa Sede, rappresentata in loco dal nunzio apostolico Ramiro Marcone. 
Sono fatti sconvolgenti e difficili da accettare, che si possono comprendere solo se visti nella più ampia ottica del ventennio storico che precedette la Seconda Guerra Mondiale. Ma sono stati ampiamente documentati da diversi autori, jugoslavi e non, anche se ovviamente non hanno trovato eco sui media tradizionali, nè certamente se ne parla nei libri di scuola. Come ebbe a commentare Eleanor Roosevelt ad Avro Manhattan, lo scrittore che stava svolgendo ricerche sulle atrocità commesse dalla Chiesa in Croazia: 
"La Germania nazista non c’è più. La Chiesa cattolica è ancora fra noi, più potente che mai, con la propria stampa e la stampa mondiale ai suoi piedi. Qualunque cosa verrà pubblicata in futuro sulle atrocità non sarà creduta" [1-1]

Fu la Jugoslavia di Tito, dopo la guerra, a raccogliere e presentare al mondo la documentazione sui crimini di Jasenovac, che fu esposta al  Museo dell’Olocausto di Belgrado. Tale documentazione mostra in modo inconfutabile la complicità della Chiesa cattolica nel genocidio, sistematico e programmato, di tutti i non-cattolici che vivevano nella regione. 
Come vedremo, il caso di Jasenovac non fu un evento isolato, ma solo l’episodio più eclatante di una politica di connivenza intrapresa dalla Chiesa nel periodo anteguerra con tutti gli stati nazi-fascisti di quell’epoca. 

NOTA STORICA 

E’ assolutamente impossibile riassumere in poche righe la storia dei Balcani, che sono stati per oltre mille anni al centro di continui scontri, guerre, razzie, conquiste e devastazioni a causa della doppia molteplicità delle loro popolazioni, sia etnica che religiosa. Da una parte abbiamo serbi, croati, sloveni, montenegrini, albanesi, turchi, slovacchi, ungheresi e rumeni, che si sono divisi per secoli una terra poco più grande dell’Italia, e dall’altra abbiamo ebrei, cristiani cattolici, cristiani ortodossi e musulmani, che si sono mescolati fra loro nel corso degli anni in tutte le combinazioni possibili. 
Ma è soprattutto attorno al conflitto fra cattolici e ortodossi, nato dallo Scisma d’Oriente (1054), che ruota l’interminabile spirale di violenza dei Balcani, di cui la recente guerra del Kosovo (1991) si può considerare l’amaro epilogo. La "spina nel fianco" per i cattolici è sempre stata l’etnia serba, di religione ortodossa, che ha più volte cercato di prendere il sopravvento nella regione, mettendo a rischio la sussistenza dei croati, e quindi della religione cattolica. 
Non a caso il Vaticano ha sempre considerato la Croazia, fin dai tempi dell’Impero Austro-Ungarico, "l’ultimo baluardo" cattolico contro l’avanzata della religione ortodossa. 
In proposito Annie Lacroix-Riz ha scritto: 
"Gli slavi cattolici (Croati, Dalmati e Sloveni), per quanto a volte ribelli, erano uno strumento prezioso nelle mani dello stato e della chiesa austriaci. Quest’ultima, per mezzo di un basso clero disciplinato, manteneva contro gli slavi ortodossi l’obbedienza e la coesione politica di questo intarsio di popolazioni." [1-2] 

Nel marzo del 1941, a pochi giorni dall’invasione tedesca della Yugoslavia – che avrebbe creato la nuova Repubblica di Croazia – l’arcivescovo di Zagabria Stepinac scriveva: 
"Tutto considerato, Serbi e Croati sono due mondi a parte, come il polo nord e il polo sud, e non potranno mai vivere uniti, se non per un miracolo divino. Lo scisma [la Chiesa ortodossa] è la più grande maledizione d’Europa, quasi peggiore del protestantesimo. Non vi è morale, non ci sono principi, nè verità, nè giustizia nè onestà." [1-3] 

A sua volta gli Imperi Centrali (Austria-Germania) hanno sempre coltivato mire di conquista verso la Serbia, che poneva un serio ostacolo al piano pan-germanico di espansione verso oriente ed i paesi arabi, rappresentato dal famoso progetto ferroviario Berlino-Baghdad. 
Esisteva quindi già una naturale convergenza di interessi sul territorio serbo-croato, fra Vaticano e Austria-Germania, sin dal tempo degli Asburgo. 
In questo grafico si possono vedere le variazioni dei confini fra i due blocchi, dal 1815 al 1918: 

1815: L’impero Austro-Ungarico comprendeva Croazia e Dalmazia. Serbia e Bosnia erano sotto l’Impero Ottomano, 
1908: Con la fine dell’impero Ottomano, l’Austria-Ungheria annetteva la Bosnia, mentre Serbia e Montenegro ottenevano l’indipendenza. 
1913: La Serbia si compattava con il Montenegro, creando un fronte unito a sud dell’Impero Austro-Ungarico. 
1918: Alla fine della I Guerra Mondiale, con il crollo l’Impero Austro-Ungarico, nasceva il Regno di Serbia, Slovenia e Croazia. 
Questa nuova geografia, uscita dal trattato di Versailles (1918), aveva reso profondamente scontenta la Chiesa di Roma, che dopo aver perso la speranza di restaurare in cattolicesimo in Europa centrale, con la caduta degli Asburgo, si trovava ora la chiesa ortodossa alle porte d’Italia. A sua volta il Trattato di Versailles sembrava fatto apposta per scatenare le più virulente rivendicazioni nazionaliste all’interno della Germania sconfitta. Venne quindi naturale per la Chiesa di Roma guardare al nascente nazional-socialismo come futuro alleato, per riconquistare la supremazia religiosa in Europa Centrale, ed opporre un blocco compatto alla crescente minaccia comunista, nata dalla rivoluzione russa del ‘17. 

CHIESA E FASCISMO
Nel 1942 L. H. Lehmann scriveva: 
"Qualunque opinione oggi esprima la Chiesa cattolica su Hitler e sul nazi-socialismo, è al 100% con lui e con gli altri dittatori fascisti nel dichiarato intento di distruggere l’ordine politico e sociale uscito dalla Riforma, per sostituirvi una integrale confederazione gerarchica di stati positivamente cristiana, simile a quella che esisteva prima che il Protestantesimo distruggesse l’ordine autoritario delle cose in Europa Centrale." [1-4]

A sua volta Hitler non ha mai fatto mistero della propria scelta di campo rispetto alla religione:  
 
"Il partito come tale si basa sul punto di vista di un cristianesimo positivo" (dal  Programma del Partito Nazional-Socialista). [1-4] 
“Sono, sempre sono stato, e sempre rimarrò un cattolico” 
– Adolf Hitler,  John Toland  “Adolf Hitler” p.507 
"Ora la Chiesa cattolica è più sicura che mai. [...] rimarrà come un faro di luce” – Adolf Hitler, Leo Lehmann’s – Behind the Dictators, p26.

Si potrebbero riempire intere pagine di citazioni che trasudano di reciproca "simpatia" fra nazi-fascismo e Chiesa cattolica. Citazioni non sempre sincere, ovviamente, ma proprio per questo indicatrici dei molteplici interessi in comune, che portavano le due forze ad attrarsi reciprocamente. 
"Ho trovato interessante che il Papa mi abbia detto in quell’occasione: “la Germania deve diventare la spada della Chiesa cattolica.” Io gli ho ricordato che l’antico Impero Romano della nazione tedesca non esisteva più, e che la situazione era cambiata. Ma lui è rimasto fermo sulle sue parole." Kaiser Guglielmo, parlando di Leone XIII.  [1-5]
"Come molti altri conservatori cattolici, Pio XI considerava uno stabile regime fascista in Italia molto più solido come baluardo contro il comunismo di quanto lo sarebbero mai stati i governi democratici, con le loro coalizioni in continua mutazione "- Susan Zuccotti,  "Sotto le sue finestre" [1-6]

A partire dagli anni ‘20 inizia infatti quel lungo ed ambiguo percorso parallelo, fra Chiesa e nazi-fascismo, che li avrebbe visti camminare uniti fino alla II Guerra  Mondiale ed anche oltre. (Fu proprio il Vaticano, alla fine del conflitto armato, a dare asilo e ad aiutare molti gerarchi nazisti nella loro fuga verso il Sudamerica).
Al centro di questo cammino troviamo regolarmente la figura di Eugenio Pacelli, che compare prima come nunzio apostolico in Germania, poi come Segretario di Stato della Santa Sede, ed infine come papa, con il nome di Pio XII. 
Tutti i rapporti della Chiesa con le altre nazioni sono stati regolamentati, ovunque possibile, da relativi concordati. 

I CONCORDATI DELLA CHIESA 

Per "concordato" si intende un accordo ufficiale fra il Vaticano e uno stato straniero. E’ l’esatto equivalente dei "trattati" fra nazione e nazione. Nel periodo anteguerra la Chiesa aveva firmato concordati con tutti gli stati fascisti di quel periodo. 
CROAZIA 

Nel 1855 il Vaticano aveva firmato un concordato con l’Impero Austro-Ungarico, che prevedeva libertà per le altre confessioni religiose, ma faceva di quella cattolica la religione ufficiale dell’Impero. Questo dava al Vaticano il controllo dell’educazione religiosa dei giovani, la gestione ed amministrazione dei matrimoni, l’autonomia di movimento e comunicazioni del clero, la giurisdizione sulle cause legali di tipo ecclesiastico, il diritto di ricevere introiti pubblici (tasse dallo stato), e la completa autonomia sulle nomine vescovili. [1-7] 
Nonostante la caduta dell’Impero Austro-Ungarico, con il passaggio della Croazia al regno di Serbia, il concordato rimase valido "de facto" su tutto il territorio croato, per tornare ufficialmente in vigore con la creazione dello stato-fantoccio nazi-cattolico di Ante Pavelic (1941). 
ITALIA 

Nel 1929, dopo estenuanti trattative segrete, a cui Pacelli partecipò attivamente, la Chiesa di Roma firmava con Mussolini i cosiddetti Patti Lateranensi. In base a questo concordato la Chiesa otteneva la restituzione di antiche proprietà terriere, la creazione del moderno stato Vaticano, una serie di vistosi privilegi per il clero, la gestione dei matrimoni e l’autorità sui divorzi, la parificazione delle scuole cattoliche a quelle statali, e una lauta "ricompensa" – pagata dal popolo italiano – per le espropriazioni subite nel secolo precedente. La religione cattolica divenne religione di stato, fu resa obbligatoria come materia scolastica fino alle scuole medie, e la Chiesa si riservò ovviamente il diritto di insegnarla. Il concordato prevedeva anche la "protezione" di Azione Cattolica, che era entrata in aperto contrasto con Mussolini, ma di fatto impegnava tutto il clero ad astenersi da qualunque attività di tipo politico. 
Da parte sua la Chiesa riconobbe il Regno d’Italia, e da quel giorno offrì a Mussolini il pieno supporto politico, arrivando a definirlo "l’uomo della Provvidenza". 
In realtà era stata la Chiesa fin dall’inizio, ad imporre le condizioni a Mussolini per restare al potere. In proposito lo stesso Duce ebbe a scrivere: [manca citazione]. 
Iniziava così un lento processo di "adozione" del fascismo da parte della Chiesa, mentre la nuova ideologia compenetrava progressivamente il tessuto sociale, al punto da rendere sempre più sottile la linea di demarcazione  fra l’aspetto politico e quello religioso del credo nazionale. 
In proposito Tracy Koon ha scritto: 
"Gli anni fra il 31 e il 38 furono generamente cordiali nei rapporti fra chiesa e stato. A causa di questa apparente armonia, divenne sempre più difficile per i cattolici, fino alla fine degli anni 30, percepire le reali differenze fra la visione del mondo fascista e quella cristiana" [1-8]

Ma soprattutto, la Chiesa si mostrò perfettamente allineata con le nuove imprese militari del fascismo all’estero. Durante la campagna d’Africa i vescovi cattolici benedivano regolarmente le truppe in partenza per il fronte. 
Su Civiltà Cattolica, Padre Messineo descrisse l’invasione dell’Etiopia come 
"la restaurazione della vera fede contro gli errori religiosi, la superstizione e la schiavitù". [1-9]

Le poche voci isolate, contrarie a questo "matrimonio infernale" fra Chiesa e fascismo, finirono tutte inascoltate: nell’articolo «Vescovi sedotti dal fascismo», uscito sul Corriere della Sera dell’8 marzo 35, Alberto Melloni riassumeva il memoriale scritto in quell’anno da monsignor Domenico Tardini:  
«Mentre importanti cardinali italiani offrono un sostegno alla campagna militare e L’Osservatore Romano rimane in una posizione di prudente legittimazione della guerra, Tardini calcola e giudica le conseguenze sul clero, che ai suoi occhi rappresentano “il disastro più grande”: il diplomatico romano concede che esso debba essere disciplinato anche davanti al regime, ma osserva che “invece questa volta è tumultuoso, esaltato, guerrafondaio. Almeno si salvassero i vescovi. Niente affatto. Più verbosi, più eccitati, più… squilibrati di tutti”. Pronti a offrire oro alla patria con zelo sospetto “parlano di civiltà, di religione, di missione dell’Italia in Africa… E intanto l’Italia si prepara a mitragliare, a cannoneggiare migliaia e migliaia di etiopi, rei di difendere casa loro… Difficilmente poteva compiersi nelle file del clero un confusionismo, uno sbandamento, un disquilibrio più gravi e pericolosi”. [...] Tardini si rende conto che “la Chiesa d’Italia è accusata di essere in combutta col fascismo. E con la Chiesa d’Italia, la Santa Sede. Mai la Santa Sede ha passato – credo – un periodo più difficile di questo”, nel quale rischia di “compromettere seriamente per un secolo il prestigio morale” accumulato». LINK

Nel frattempo il cardinale di Milano Schuster, nel suo sermone in Duomo del 27 ottobre 1935, esaltava le imprese delle "valorose armate che aprono le porte dell’Etiopia alla fede cattolica e alla civilizzazione di Roma". [1-10] 
Episodi come la morte di Padre Giuliani, il cappellano militare ucciso in Abissinia, venivano pubblicamente celebrati ed elevati ad atti di eroismo militare: 
 
Dal canto del Legionario

I morti che lasciammo a passo Uarieu 
sono i pilastri del romano Impero. 
Gronda di sangue il gagliardetto nero 
che contro l’Amba il barbaro inchiodò. 
Sui morti che lasciammo a passo Uarieu 
la Croce di Giuliani sfolgorò. Duce! 
Per il Duce e per l’Impero eja eja Alalà! Alalà! 
"Ma la mitragliatrice non la lascio!" 
gridò ferito il legionario al passo. 
[giuliani

Mentre offriva apertamente il suo supporto alla conquista militare, nessun esponente del clero si preoccupò mai di denunciare le azioni criminali che venivano compiute a cielo aperto dalle nostre armate contro le popolazioni locali.  
Si giunse così alle soglie della guerra mondiale con una completa fusione di ideali e finalità pratiche, fra Chiesa e fascismo, ben difficile a quel punto da risolvere per chiunque. 


SPAGNA 

Lo stesso tipo di incoraggiamento da parte del Vaticano fu riservato al fascismo spagnolo, con il Papa in persona che arrivò a dare la benedizione alle truppe italiane che partivano per combattere al fianco del generalissimo Franco. Più tardi, nel ricevere a Castelgandolfo 500 profughi spagnoli, in maggioranza sacerdoti e religiosi, Pio XI dichiarò: 
"La nostra benedizione vada in modo particolare a coloro che si sono assunti la difficile e pericolosa missione di difendere e restaurare i diritti e l’onore di Dio e della religione" [1-11]

Sul finire degli anni ‘20 in Spagna era ancora in vigore il concordato firmato dalla Chiesa con la Regina Isabella nel 1851. Questo concordato, nato dalla comune paura dei potenti per le nascenti democrazie, stabiliva che quella cattolica fosse l’unica religione tollerata nel paese, riservava alla Chiesa tutti i "diritti divini stabiliti dal Canone", e dava al clero il completo controllo dell’educazione e della stampa. In questo modo non era più necessario bruciare i libri proibiti, come durante l’Inquisizione, bastava semplicemente vietare di stamparli. LINK 
Ma la imprevista vittoria elettorale delle sinistre, che portò alla nascita della Seconda  Repubblica (1931), pose improvvisamente fine ai privilegi della Chiesa e della nobiltà spagnole. La nuova costituzione introduceva la  libertà di espressione, la separazione fra Stato e Chiesa, il diritto al divorzio, la perdita di tutti i privilegi nobiliari, e il suffragio universale per le donne. 
Decisamente troppo per una Chiesa abituata a farla da padrona in una terra in cui il suo volere era stato sempre rispettato, fin dal tempo dei Re Cattolici. 
Se in Germania e Italia l’alleanza col nazi-fascismo era stata perseguita con un minimo di pudore esteriore, in Spagna il clero non ebbe la minima remora a mostrarsi apertamente a favore del  nuovo fascismo, che incitava apertamente, con il passare dei mesi, alla "rivolta armata" contro il marxismo dei "senzadio". 

Non ci volle molto perchè il termine "rivolta armata" venisse sostituito da quello, molto più appropriato – secondo la Chiesa -  di "crociata". 
Sopra: Un breve estratto dal famoso documentario "Mourir a Madrid" di Fredric Rossif, che permise al mondo di conoscere il vero volto della Guerra Civile spagnola.
Nel 1936 l’arcivescovo di Saragozza Domenech dichiarò che "la violenza non si fa al servizio dell’anarchia, ma in modo legittimo soltanto a beneficio dell’ordine, della patria e della religione". LINK
Il 30 settembre 1936 il vescovo di Salamanca Enrique Pla y Daniel pubblicava una lettera pastorale in cui dichiarava che lo scontro cruento fra i cittadini spagnoli "riveste sì l’aspetto esteriore di una guerra civile, ma è in realtà una crociata" … "una crociata per la religione, per la patria e per la civiltà". LINK
Il canonico di magistero di Salamanca, Albarràn, aveva pubblicato nel 1934 un libro intitolato "Diritto alla ribellione", nel quale incitava alla rivolta armata contro l’ordine costituito (la Repubblica Spagnola, che fu rovesciata da Franco, era nata legittimamente, per volere popolare). Dopo la vittoria nella Guerra Civile ne pubblicò un altro, intitolato "Guerra Santa", nel quale definiva più volte "guerra santa" lo scontro appena terminato, e sottolineava come tala guerra fosse stata incoraggiata e benedetta dalla chiesa cattolica. 
Voci importanti risuonavano ovunque, inculcando nel subconscio degli spagnoli il senso di una crociata religiosa: 
Francisco Franco: "Noi siamo cattolici. In Spagna, o sei cattolico o non sei nulla".  
Il capo di Azione Cattolica: "Crociati di Spagna! Dobbiamo vincere, come hanno sempre vinto gli spagnoli, la spada in mano, l’eroismo nel cuore, e la preghiera sulle labbra".
Il reverendo padre Ignazio Mendez Reygada: "Il sollevamento non è stato solo giusto, è stato doveroso. La guerra nazionale spagnola è una guerra santa, la più santa che la storia abbia conosciuto".
L’arciprete di Burgos: "Voi che mi ascoltate, voi che vi chiamate cristiani, non abbiate perdono per i distruttori delle chiese, e per gli assassini di San Pietro. Che la loro stirpe sia distrutta, la stirpe malvagia, la stirpe del demonio, perchè in verità i figli di Belzebù sono anche i nemici di Dio". [1-12]

Non a caso fu proprio nella Guerra Civile spagnola che si assistette per la prima volta al coinvolgimento diretto del clero nella lotta armata. 
Sopra: Preti armati nella Plaza de Toros di Siviglia, in seguito trasformata in campo di prigionia. 
Sotto a sinistra:  Anche i frati francescani parteciparono attivamente alla lotta armata, mentre i cappellani militari (sotto a destra) davano regolarmente l’assoluzione anticipata ai franchisti per le carneficine dei "comunisti" che si apprestavano a compiere. 

Questa indissolubile commistione di intenti fra Chiesa e fascismo continuò anche dopo la guerra, con la celebrazione religiosa di tutti i morti sul fronte fascista. Nel 1938 un decreto del Capo di Stato stabiliva "previo accordo con le autorità ecclesistiche" che "sui muri di ogni parrocchia compaia una lapide con i nomi dei suoi Caduti, nella presente Crociata, già vittime della rivoluzione marxista". 
Tutti i preti morti per mano dei"rossi" venivano automaticamente elevati a rango di martire. (Curiosamente, in questo caso era lo stesso "martire" ad aver aggredito una nazione con un governo legittimamente eletto). 
Con il trionfo del franchismo in Spagna ebbe inizio una dittatura basata su un sodalizio con la Chiesa che sarebbe durato fino alla morte del Generalissimo, avvenuta nel 1975. Questo sodalizio aveva trovato un nome sin dal momento della diffusione dell’ideologia fascista in Spagna: "Nazional-cattolicesimo". 
"Nazional-cattolicesimo: parte dell’identità ideologica del franchismo … La sua manifestazione più visibile fu l’egemonia della chiesa cattolica in tutti gli aspetti della vita pubblica e privata". [1-13]


Naturalmente ci si domanda se sarebbe mai nata, e quanto sarebbe durata, una dittatura come quella di Franco, se invece di appoggiarla fin dal primo giorno la Chiesa l’avesse apertamente osteggiata. Il potere del pulpito religioso, specialmente nei paesi di lunga tradizione cattolica, è forse meno penetrante ed efficace di quello politico? 

PORTOGALLO


Parallelamente alla Spagna, la Chiesa appoggiò anche la nascita della dittatura fascista in Portogallo, che sarebbe durata dal 1932 fino al 1975. Nel 1940 la Chiesa avrebbe formalizzato i rapporti con la seconda nazione iberica, firmando un concordato con il dittatore Salazar. 
Accanto al regolare concordato fu firmato anche il cosiddetto Accordo Missionario, che estendeva i diritti ecclesiastici a tutte le colonie dell’Impero Portoghese (Angola, Mozambico, Timor, Guinea, ecc.). I vari territori sarebbero stati suddivisi in diocesi, con ampi poteri e privilegi concessi ai prelati locali. 
Fra i privilegi c’era anche quello di ammettere  missionari di altre nazioni solo se accettassero di sottomettersi pienamente al controllo del clero locale.  LINK 

GERMANIA
Una dinamica simile a quella italiana si verificò in Germania, dove nel ‘33 il Segretario di Stato vaticano Pacelli firmò il Reichskonkordat con il braccio destro di Hitler, Fritz von Papen. Anche qui la Chiesa di Roma otteneva, fra le altre cose, il diritto di insegnare la religione cattolica nelle scuole tedesche, libertà di movimento e comunicazioni del clero sul territorio, il diritto di incassare tasse ecclesiastiche, ed altri privilegi di minore importanza. 

In cambio Hitler aveva ottenuto il primo riconoscimento ufficiale della nuova Germania da uno stato straniero, e la collaborazione della Chiesa nel mettere al bando le forze politiche cattoliche tedesche, che rappresentavano un grosso ostacolo sul percorso del nazionalsocialismo. La stessa cosa aveva ottenuto Mussolini in Italia, dopo la firma dei Patti Lateranensi, con la progessiva emarginazione dalla vita politica di Azione Cattolica, ottenuta con il contributo del Vaticano. La Chiesa stessa non amava in particolar modo queste nuove organizzazioni politiche, che erano in grado di sfuggire al suo diretto controllo, e per quanto fingesse di difenderle pubblicamente, fu ben contenta di "sacrificarle" sull’altare della nascente alleanza con il nazifascismo. 
A questo proposito LEHMANN scrive: 
"Il Vaticano aiutò ad eliminare i partiti popolari cattolici sia in Italia che in Germania, centralizzando tutte le questioni politiche su Roma. Questo garantiva ai dittatori libertà da una interferenza popolare da parte dei cattolici, e stabiliva un regime più dittatoriale nella stessa chiesa cattolica."  [1-14]

Sembra che vi fosse anche un supplemento segreto al concordato tedesco, la cui esistenza non è mai stata riconosciuta ufficialmente dal Vaticano, che stabiliva diritti e doveri del clero "nel caso di un cambiamento nelle forze armate tedesche, nel senso di una chiamata obbligatoria alle armi". In altre parole, nonostante il Trattato di Versailles proibisse esplicitamente il riarmo della Germania, nel ‘33 c’era già chi pensava che sarebbe avvenuto, e si preparava ad affrontarlo in maniera adeguata. (Link
L’importanza del Reichskonkordat, e la chiara presa di posizione della Chiesa a favore del Reich, furono sottolineate con enfasi nel 1937 dal cardinale Faulhaber: "In un momento in cui i capi di stato delle maggiori potenze mondiali guardano con fredda riserva e notevole sospetto alla nuova Germania, la Chiesa cattolica, la più grande autorità morale sulla terra, ha espresso attraverso il Concordato la sua fiducia nel nuovo governo tedesco". (Link
Quattro giorni dopo la propria elezione a pontefice, il 2 marzo 1939, Pio XII scriveva a Hitler: 
“All’illustre Herr Adolf Hitler, Fuhrer e Cancelliere del Reich tedesco. All’inizio del nostro pontificato desideriamo assicurarle che continueremo a impegnarci per il benenessere spirituale del popolo tedesco, che confida nella sua guida……Ora che le responsabilità della Nostra funzione pastorale hanno accresciuto le Nostre opportunità, preghiamo più ardentemente per il raggiungimento di questo obiettivo. Che la prosperità del popolo tedesco e il suo progresso in tutti i campi, con l’aiuto di Dio, possano compiersi.” 

(mancano) 
BELGIO 
AUSTRIA


ALL’ALBA DELLA II GUERRA MONDIALE 

Se si considera il supporto complessivo dato dalla Chiesa ai vari stati fascisti nel periodo anteguerra, non può non emergere una profonda compicità ideologica che andava ben oltre l’eventuale vantaggio momentaneo, a favore di una visione del mondo in cui ritornasse a trionfare lo stesso tipo di autorità centralizzata e gerarchica, di discendenza divina, che già aveva caratterizzato l’Impero d’Asburgo, e prima ancora il Sacro Impero Romano. 
Come aveva fatto fin dai tempi di Costantino, la Chiesa dava a imperatori e dittatori l’avallo morale per le loro imprese di conquista, e i dittatori davano alla Chiesa gli eserciti per combatterle e portarle a termine nel comune interesse. 
Pur non avendo avuto mai un esercito, infatti, la Chiesa ha combattuto nella storia più guerre di chiunque altro, facendolo sempre con le armate altrui. Imperatori, re e dittatori andavano e venivano, mentre la Chiesa è sempre rimasta al centro di tutte le battaglie, riuscendo ogni volta ad riemergere intatta da guerre e carneficine di dimensioni apocalittiche. 
Grazie alla nuova alleanza con il nazi-fascismo, all’alba del conflitto mondiale la Chiesa sembrava disporre della più potente ed invincibile armata mai assemblata nella storia, disposta a distruggere intere nazioni per riaffermare nuovamente il predominio di Roma e della religione cattolica sul resto del mondo. 
E’ in questo clima di neo-imperialismo a carattere religioso che si inserisce la vicenda della Croazia di Ante Pavelic, lo stato-fantoccio creato da Hitler e Mussolini con l’appoggio del Vaticano, per lanciare la conquista della Russia e per ristabilire al più presto il "baluardo" cattolico a est della frontiera italiana.
La Auschwitz del Vaticano – 2a parte
LA AUSCHWITZ DEL VATICANO 
Seconda parte I BALCANI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE 
IL RUOLO DELL’ITALIA 


I BALCANI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE 
Questa cartina militare tedesca descrive la compenetrazione delle varie etnie all’inizio della II Guerra Mondiale, in quello che allora era il Regno di Jugoslavia. Come si può vedere, il blocco occidentale dei Serbi ("zona 1"), di religione ortodossa, rappresentava un ostacolo insormontabile per l’unità dei croati, di religione cattolica.
Il 10 Aprile 1941 la Germania di Hitler invase in Regno di Jugoslavia, e creò lo stato-fantoccio chiamato Repubblica Indipendente di Croazia, con a capo il dittatore Ante Pavelic. 
Nella cartina sotto la ripartizione dei Balcani nel 1942, dopo l’invasione tedesca e lo smembramento della Jugoslavia. L’alleanza nazifascista controllava ora Croazia, Bosnia, Montenegro e Albania, avendo costretto il resto dell’etnia serba nell’ex-territorio della "zona 2". Tutti i serbi che vivevano nella zona 1 furono uccisi, scacciati o convertiti di forza al cattolicesimo.  Ma i convertiti e gli scacciati furono solo un’esigua minoranza. 

In seguito nacque in Serbia (ex-zona 2) il movimento dei Partizan jugoslavi (fra cui c’era il futuro Maresciallo Tito), che oppose una tenace resistenza all’occupazione e all’avanzata germanica. Secondo molti storici fu proprio questa resistenza a rallentare le armate di Hitler a sufficienza da impedirgli di arrivare a Mosca prima dell’inverno (1943), gettando così le basi per la sua sconfitta nella II Guerra Mondiale. 
IL RUOLO DELL’ITALIA 
Per quanto non abbia partecipato militarmente all’invasione del 10 Aprile 1941, l’Italia aveva provveduto all’addestramento militare degli Ustasha, che sarebbero insorti nel territorio croato come "quinta colonna" al momento dell’invasione tedesca.
Addestramento militare degli Ustasha in Italia, nelle vicinanze del loro campo, prima dell’attacco alla Jugoslavia.
Il generale Mario Robotti della II Armata italiana incontra Ante Pavelic per discutere il coordinamento delle azioni militari nella Jugoslavia occupata.
In cambio della sua collaborazione, l’Italia ebbe l’Istria e la Dalmazia, parte della Slovenia e parte della Bosnia (zona in grigio), che rimasero sotto il suo controllo fino al 1943. 

Nei territori occupati dall’Italia l’assoggettamento delle popolazioni non fu meno brutale di quello operato dai nazisti o dagli Ustasha. Le fucilazioni dei cosiddetti "ribelli" erano all’ordine del giorno anche da noi.
SOPRA: Italiani fucilano ostaggi in Montenegro. SOTTO: Un generale italiano controlla personalmente la fucilazione dei combattenti jugoslavi catturati nel villaggio di Larati, in Slovenia.
In una lettera alla Questura di Zara, il comandante del campo di concentramento di Melada facevo una richiesta urgente di 50 rulli di filo spinato:
"Faccio presente – si legge nel documento – che si rende assolutamente necessaria la recinzione completa del campo, onde evitare fughe da parte di qualche internato. A tale proposito bisogna rilevare che quando si presenta la motobarca di cod. Questura per prelevare gli ostaggi da fucilare, nel campo si nota un certo orgasmo, e c’è da temere che qualcuno, per paura di essere prelevato, tenti l’evasione per sfuggire alla fucilazione."
I rastrellamenti svuotavano interi villaggi, favorendo in questo modo il progetto di "pulizia etnica" di Ante Pavelic.
Soldati italiani conducono un "rastrellamento": masse di persone vengono portate ai campi di concentramento
Anche le rappresaglie erano diventate una routine in tutta la zona occupata, per obbligare i partigiani a consegnarsi e venire deportati.
Nè furono più teneri gli italiani al momento della loro ritirata, nel 1943. Ovunque passavano lasciavano alle proprie spalle morte, devastazione e villaggi bruciati.
SOPRA: Il villaggio di Goraji Orahovac, nella Boka Kotorska, fu totalmente incenerito dagli italiani. SOTTO: Gli italiani si concedono un riposo, dopo aver dato alle fiamme un villaggio appena attraversato.
Sulle macerie di un villaggio dalmata campeggia uno slogan di Mussolini: "L’odio giusto che vive nell’anima dei giovani popoli ha scelto: vinceremo!"
In "Scaramucce sul lago Ladoga,"  Roberto Bassi ricostruisce le peregrinazioni di una famiglia di veneti ebrei durante il fascismo. Particolarmente significativa questa testimonianza dell’allora Ammiraglio della Regia Marina italiana, Polacchini, riferita a Zagabria, nel ‘42-’43: "Dei manifesti informano la popolazione che vi sarebbe stata una distribuzione straordinaria di carne. Qualche faccia sconvolta mi ha indotto ad avvicinarmi con il mio attendente a una macelleria del centro. Ai ganci del negozio sono appesi, con gli abiti insanguinati, molti uomini. Scritte in croato dicono: questa è l’unica carne che vi meritate, quella dei ribelli che si oppongono all’Italia." L’ammiraglio protesta, ma la risposta è che sono i fascisti italiani e gli ustascia croati a comandare.  LINK
L’avventura italiana in Istria e Dalmazia rappresenta ovviamente un capitolo a parte nella storia della Seconda Guerra Mondiale, ma è interessante notare quanto il nostro intervento militare abbia influito sulle vicende interne jugoslave, e soprattutto sul genocidio dei serbo-ortodossi nell’ambito del progetto di totale cattolicizzazione della Jugoslavia. 
In questo rapporto a Mussolini, Italo Sauro – responsabile italiano per i territori slavi conquistati – sottolineava la necessità di arrivare alla completa "eliminazione dello slavismo". Nella stessa pagina leggiamo anche: "La lotta dovrà esser anzitutto precisa onde, ad esempio, ad un prete slavo si dovrà sostutuire un prete italiano che parli slavo, e ciò perchè in un primo tempo è bene agire lentamente per non provocare troppe opposizioni e andare facilmente in profondità. Il prete slavo dovrà in ogni caso essere prima affiancato a un italiano, e poi eliminato".
Nuovamente, la spada e la croce unite nel connubio inestricabile coltivato dalla Chiesa per quasi due millenni.
Tutte queste vicende infatti andrebbero inquadrate nel più ampio disegno delle alleanze storiche fra il Vaticano e i vari stati nazifascisti – Spagna, Italia, Germania, Portogallo, Belgio, Austria, Croazia – nate a partire dalla fine degli anni ‘20 con lo scopo di ristabilire un "impero centrale", cattolico e assolutista, sulla falsariga dei grandi imperi del passato, imperniati sul concetto centrale di "romanità".
La Auschwitz del Vaticano – 3a parte 

LA AUSCHWITZ DEL VATICANO 
Terza parte 
L’ALLEANZA FRA CHIESA E USTASHA 
LE COLPE DI STEPINAC E DEL CLERO CATTOLICO IN CROAZIA 


L’ALLEANZA FRA CHIESA E USTASHA 

Insieme all’alleanza fra Chiesa e nazi-fascismo erano nate anche le prime strategie congiunte fra Roma e Berlino per riconquistare la Croazia e ristabilire il "baluardo cattolico" a est dell’Italia. Come vedremo in seguito, questa strategia prevedeva la partecipazione attiva del clero cattolico, e soprattutto dei frati francescani. 
L’idea centrale fu la creazione di una "quinta colonna" sul territorio croato, che fosse pronta ad intervenire di sorpresa, alla prima occasione utile. L’ "occasione utile" sarebbe stata l’invasione armata della Jugoslavia da parte di tedeschi, avvenuta nella primavera del 1941. Determinante fu infatti il "tradimento" dei corpi Ustasha già presenti sul territorio, che gettarono lo scompiglio nelle retrovie dell’esercito jugoslavo, tagliando i collegamenti, bloccando i rifornimenti, e massacrando interi battaglioni con agguati improvvisati. 
Da parte sua l’Italia aveva dato protezione ad Ante Pavelic – che era ricercato dalla Francia per l’assassinio del re Alessandro a Marsiglia – durante il periodo di preparazione, mentre addestrava militarmente i futuri Ustasha nelle vicinanze del confine jugoslavo. 
Quattro giorni dopo l’invasione dei tedeschi, Pavelic si trasferì ufficialmente in Croazia, dove Hitler lo mise a capo dello stato-fantoccio chiamato Repubblica Indipendente di Croazia. 
Uno dei primi a dargli il benvenuto fu l’arcivescovo di Zagabria, Mons. Alojsius Stepinac, che si recò personalmente a stringergli la mano. Così Stepinac accolse l’arrivo di Pavelic a Zagabria: 
"Dio, che dirige il destino delle nazioni e controlla il cuore dei Re, ci ha dato Ante Pavelic, e ha portato il leader del popolo amico e alleato, Adolf Hitler, a usare le sue truppe vittoriose per disperdere l’oppressore… Gloria a Dio, la nostra gratitudine ad Adolf Hitler, e la nostra fedeltà al nostro Poglavnik, Ante Pavelic". [3-1]

Dopodichè organizzò un pranzo di benvenuto per gli Ustasha che rientravano dai campi di addestramento all’estero. 

A SINISTRA, SOPRA: L’arcivescovo Stepinac festeggia con una colazione un gruppo di emigranti Ustasha al ritorno dai campi speciali in Italia e Ungheria. A SINISTRA, SOTTO: L’arcivescovo Stepinac e Pavelic in conversazione amichevole. A DESTRA, SOPRA: L’arcivescovo Stepinac e altri dignitari ecclesiastici attendono Ante Pavelic, il suo governo e i suoi delegati sul sagrato della cattedrale di S. Marco a Zagabria, per la messa rituale in occasione dell’apertura del parlamento, nel 1942. A DESTRA, SOTTO: Pavelic arriva alla cattedrale di Zagabria nel giorno dell’apertura del parlamento croato, e viene ricevuto dall’arcivescovo Stepinac. 

Due settimane dopo, il 28 aprile, Stepinac scrisse questa lettera pastorale a tutte le diocesi della Croazia:

"Onorevoli fratelli, non c’è uno di noi che non abbia assistito di recente al più significativo evento nella vita del popolo croato, nel quale noi svolgiamo il compito di annunciare la parola di Cristo. Questi sono eventi che hanno realizzato un lungo sogno e un ideale desiderato dalla nostra gente…  Vi invito quindi a rispondere alla mia chiamata di svolgere un importante lavoro per la protezione e il progresso dello Stato Indipendente di Croazia. Date prova di voi, onorevoli fratelli, e fate il vostro dovere verso il giovane Indipendente Stato di Croazia." [3-2]

Stepinac quindi, nel suo ruolo di arcivescovo e capo della Chiesa croata, incitava ufficialmente i cattolici a implementare un programma – quello degli Ustasha – che era stato molto chiaro fin dall’inizio: sterminare un terzo dei non-cattolici (cristiano-ortodossi, ebrei e Rom) presenti nella zona conquistata, convertirne forzatamente un terzo, e cacciare i rimanenti fuori dal paese. 
 
Il pio cattolico Dr. Mile Budak, Ministro dell’Educazione e della Cultura, ha detto il 22 luglio 1941: "La base del movimento Ustasha è la religione. Per le minoranze come i serbi, gli ebrei e gli zingari abbiamo tre milioni di pallottole. Uccideremo una parte dei serbi. altri li deporteremo, e obbligheremo il resto ad accettare la religione cattolica. La nuova Croazia sarà liberata da tutti i serbi al suo interno, e arriverà entro 10 anni ad essere cattolica al 100%." [3-3] 

Solo con un estremo fanatismo religioso si può comprendere la brutalità selvaggia, unita alla gioia assassina che spesso si legge sui volti dei carnefici, con cui veniva condotto il massacro sistematico dei serbi ortodossi. 

A SINISTRA: il boia Ustasha sorride per l’obiettivo, mentre decapita con un colpo d’ascia un contadino serbo. 
A DESTRA: Ustasha mostrano la pistola, il coltello e la sega da falegname che useranno per uccidere il serbo catturato. 

Sotto: Stepinac presenzia ad una cerimonia congiunta fra italiani, tedeschi e Ustasha. Il vero denominatore comune, fra le varie potenze del nazifascismo, sembra essere costantemente la Chiesa cattolica. 
 
Il generale italiano Roatta (4) con il generale tedesco Gleise Horstenau (2), von Troll, Cancelliere dell’ambasciata tedesca (1), Slavo Kvaternik, "maresciallo" dello "Stato Indipendente di Croazia" (3) e l’arcivescovo Stepinac (5). [3-4] 

Vediamo ora nel dettaglio come avvenne la preparazione del sollevamento armato degli Ustasha sul territorio jugoslavo, in attesa dell’invasione dei tedeschi. 

LE COLPE DI STEPINAC 
E DEL CLERO CATTOLICO IN CROAZIA 


Come abbiamo detto, la quinta colonna croata era nata grazie all’alleanza segreta fra gli Ustasha, l’organizzazione degli indipendentisti croati (definiti "terroristi" dal governo jugoslavo) e le organizzazioni "attiviste" cattoliche che ruotavano intorno ai conventi dei frati francescani in Croazia. 
Tutti questi conventi, come tutte le azioni compiute del clero in Croazia, ricadevano sotto la responsabilità diretta dell’Arcivescovo di Zagabria, Mons. Alojzije Stepinac. 
In proposito Avro Manhattan ha scritto: 
 
"Mentre i compari fascisti del Vaticano si davano da fare per organizzare attività politiche o terroristiche, la diplomazia cattolica – come già avvenuto in Spagna, Austria, Cecoslovacchia, Belgio e Francia – si mise in vista con la promozione di una poderosa quinta colonna cattolica. Questa, che aveva già indebolito la struttura interna dell’unità jugoslava, era costituita da tutti quei croati contagiati dal fanatismo nazional-religioso della gerarchia cattolica di Croazia, e da una armata nazionalista illegale composta da bande di terroristi cattolici, chiamati Ustasha, guidati da Ante Pavelic, supportati da Vladimir Macek, il leader del Partito Contadino Croato, che nel 1939 si era adoperato per far finanziare da Mussolini il movimento separatista croato con 20 milioni di dinari, e dall’arcivescovo A. Stepinac, il capo della gerarchia cattolica in Croazia. " [3-5] 


Nel 1947 l’ambasciata jugoslava a Washington ha pubblicato un documento ufficiale nel quale riassume i più importanti capi d’accusa contro Stepinac e contro il suo clero, relativi alle azioni compiute in Croazia prima e durante la II Guerra Mondiale. Sono sostanzialmente gli stessi capi d’accusa che il governo jugoslavo imputò a Stepinac durante il processo contro di lui, che si concluse con la sua condanna a 16 anni di carcere. Dopo averne trascorso 5 in prigione, il resto della pena gli fu commutato in arresti domiciliari. Secondo i difensori della Chiesa, questo processo fu solo un atto di banale "propaganda" da parte di uno stato comunista. 
Non si comprende peraltro chi mai avrebbe dovuto denunciare quei crimini, se non il popolo stesso che li aveva subiti. 
Altri hanno voluto dipingere il processo come una "persecuzione religiosa" della Chiesa cattolica, che di recente ha beatificato Stepinac, definendolo un vero e proprio "martire". 
Un capovolgimento davvero singolare, per una Chiesa accusata di genocidio, specialmente se si considera che i capi d’accusa contro Stepinac non sono mai stati nè contestati nè smentiti da nessuno. 
Si presume infatti, di fronte ad accuse così gravi, che sarebbero state smentite con sdegnato clamore, se solo fosse stato possibile farlo. Se inoltre a Chiesa fosse innocente, avrebbe richiesto una altisonante correzione pubblica da parte del governo jugoslavo, oltre naturalmente ad un nuovo processo, che sgombrasse il campo da qualunque malinteso. Invece ha preferito passare tutto sotto silenzio, limitandosi a parlare di "propaganda comunista" quando accusata apertamente di quei crimini. 
Come si legge nell’introduzione a "L’arcivescovo del genocidio", di Marco Aurelio Rivelli: 
"… è difficile contestarne i contenuti solo atteggiandosi a martiri di fronte a un supposto “sentimento anticattolico”: qui Marco Aurelio Rivelli, analogamente a quanto ha fatto per Dio è con noi, ha lasciato parlare i documenti ufficiali e ha limitato al minimo i suoi commenti. E i documenti ufficiali sono difficili da smentire." [3-6] 

IL CASO DELL’ARCIVESCOVO STEPINAC

Pubblicato dall’Ambasciata della Repubblica Federale Popolare di Jugoslavia nel 1947 
°°°
INTRODUZIONE 
Quando Adolf Hitler, nel mettere in atto il suo progetto di conquista dell’Europa e del mondo, attaccò il Regno di Jugoslavia, il 6 aprile 1941, fu subito chiaro che la Wehrmacht tedesca avesse a disposizione un poderoso gruppo di traditori all’interno dello stato jugoslavo. 
Sin dall’inizio l’esercito jugoslavo, impegnato in un confronto mortale con le forze decisamente superiori dell’invasore nazista, dovette guardarsi da bande di soldati che lavoravano per il nemico alle sue spalle.  
Queste erano le cosiddette formazioni terroristiche Ustasha, che agivano in stretta collaborazione e a volte sotto la guida diretta del clero cattolico che faceva parte degli Ustasha, mettendo in pericolo le linee di comunicazione dell’esercito jugoslavo in combattimento, attaccando e disarmando le unità isolate dell’esercito. 
Duramente colpito nello scontro con la Wehrmacht e pugnalato alla schiena dagli Ustasha, l’esercito jugoslavo resistette eroicamente per due settimane, prima di essere sconfitto. Dopo la sconfitta dell’esercito jugoslavo una parte del paese fu occupato dalla Wehrmacht, una parte fu data agli Ustasha, che misero in piedi uno stato-fantoccio nazista denominato Stato Indipendente della Croazia. Fin dall’inizio fu subito chiaro che il potere in questo stato-fantoccio era interamente nelle mani degli Ustasha e dei loro collaboratori ai bassi e alti livelli del clero cattolico.  
Una ondata di terrore attraversò immediatamente il nuovo stato della Croazia. Il programma degli Ustasha prevedeva che dei 2.000.000 di serbi presenti in Croazia un terzo fosse ricacciato nel territorio serbo, un terzo venisse ammazzato, e il resto venisse obbligato, sotto minaccia di torture e di morte, a convertirsi al cattolicesimo. Degli 80.000 ebrei presenti in Jugoslavia 60.000 furono uccisi, in gran parte in Croazia. Come vedremo nei capitoli seguenti, sulla base di prove documentali, queste atrocità quasi incredibili furono commesse con la piena conoscenza e il supporto attivo di una parte della gerarchia cattolica in Croazia. L’arcivescovo Stepinac era il responsabile a capo di questa gerarchia.  
L’indagine della Commissione jugoslava sui Crimini di Guerra ha stabilito che l’arcivescovo Stepinac ha avuto un ruolo primario nella cospirazione che ha portato alla conquista e alla distruzione del Regno di Jugoslavia. È stato inoltre stabilito che l’arcivescovo Stepinac ha avuto un ruolo nel governare lo stato-fantoccio nazista della Croazia, che molti membri del suo clero hanno partecipato attivamente ad atrocità e omicidi di massa, e infine che hanno collaborato col nemico fino all’ultimo giorno del comando nazista, ed hanno continuato anche dopo la liberazione a cospirare contro la neonata Repubblica Federale Popolare di Jugoslavia. 
(continua…)

L’arcivescovo Stepinac durante una seduta del parlamento Ustasha, del quale era membro regolare con ad altri 10 prelati.

( … continua)

Per comprendere a fondo il ruolo dell’arcivescovo Stepinac nei cruciali anni che hanno preceduto la guerra, come durante la guerra stessa e dopo la liberazione della Jugoslavia, è necessario ricordare la lotta secolare che i popoli slavici meridionali, serbi, croati, sloveni e macedoni hanno condotto nei secoli per ottenere la loro indipendenza 
I popoli slavi dei Balcani hanno una gloriosa tradizione come fierii e tenaci combattenti in difesa della loro tradizione religiosa e dell’indipendenza nazionale. Nei 500 anni di dominio turco sui Balcani, i serbi hanno formato il cuore del movimento di resistenza. Quando, nel corso del secolo scorso, l’antico impero ottomano iniziò a declinare, i popoli balcanici raggiunsero la loro indipendenza nazionale. Ma i grandi poteri divisero i Balcani in piccoli stati che divennero così pedoni nel grande gioco degli intrighi delle potenze europee.  
Fu soprattutto la Germania imperiale, insieme al vecchio Impero d’Asburgo, a perseguire un programma di dominazione dei Balcani. Questo antico progetto di conquista pan-germanico, conosciuto anche come il Progetto Ferroviario Berlino-Baghdad, minacciava punti vitali e linee di comunicazione dell’impero inglese e portava inoltre una grave minaccia alla Russia. Fu questa politica di aggressione austro-germanica contro il Balcani, e specialmente contro la Serbia, che finì per provocare la Prima Guerra Mondiale. 
(continua…)
 
 
SOPRA: Ante Pavelic e l’arcivescovo Alojzije Stepinac nella cattedrale di Zagabria, poco prima della messa rituale in occasione dell’apertura del parlamento Ustasha. SOTTO: L’Arcivescovo Stepinac (primo da destra) partecipa personalmente alla sepoltura del criminale Ustasha Marko Dosen. Al centro dell’immagine il nunzio apostolico Ramiro Marcone, che rappresentava ufficialmente il Papa in Croazia.

 
( … continua)
Buona parte delle prove documentali che stabilivano la partecipazione della gerarchia cattolica e di parte del clero più basso al tradimento e alla cospirazione venne dagli stessi cospiratori. La Commissione d’Indagine ha trovato migliaia di rapporti stampati, insieme ad articoli sia della stampa ufficiale ecclesiastica che nei giornali controllati dai cattolici, che offrono un’immagine impressionante del modo in cui questo crimine fu preparato. I sostenitori dello Stato Indipendente di Croazia hanno commesso il grave errore di credere che sarebbero durati almeno quanto il Reich millenario di Hitler. Questa fiducia spiega perché non abbiano esitato a mettere tranquillamente nero su bianco i loro piani e i loro progetti. Dopo la creazione dello stato-fantoccio si sentirono liberi di descrivere in giubilanti articoli come gli zelanti membri del clero avessero lavorato per Der Tag, come i monasteri fossero stati usati da nascondiglio clandestino per i movimenti illegali degli Ustasha, come avessero mantenuto costantemente il contatto con il cospiratori all’estero, come avessero organizzato i monaci e la gioventù cattolica come “crociati” per la futura sollevazione, e come abbiano messo in pericolo in molti modi diversi da stessa esistenza della Jugoslavia prima della guerra. Le prove ritrovate dalla commissione di indagine danno una chiara immagine della struttura organizzativa della cospirazione. Il piano completo fu diretto da membri responsabili della gerarchia cattolica. L’esecuzione pratica del progetto veniva affidata ad Azione Cattolica e alle sue varie organizzazioni affiliate, come la “Grande Fratellanza dei Crociati”, la “Società Accademica di Domagoj”, l’“Associazione degli Studenti Cattolici di Mahinic”, la “Grande Sorellanza delle Crociate”, e molte altre. Il presidente e i direttori di queste organizzazioni venivano nominati direttamente dall’arcivescovo Stepinac, e erano in molti casi  erano preti ben conosciuti o appartenenti segreti ai gruppi ustasha. 
Tutte queste forze furono mobilitate in una azione concertata, con lo scopo dichiarato di diffondere l’ideologia fascista. Questa propaganda convinceva i fedeli che sarebbe stata una buona azione, nel più alto interesse della Croazia e della chiesa cattolica, di uccidere o convertire i serbi e di sterminare gli ebrei. Quanto spudoratamente questa propaganda venisse pubblicata dalla stampa cattolica verrà mostrato in seguito. 
Che Azione Cattolica fosse la forza organizzatrice della sollevazione Ustasha è stato confermato in un discorso di Ante Pavelic poche settimane dopo aver preso il potere in Croazia:  sull’organo di stampa Hrvatski Naro del 24 giugno 1941 compariva un discorso di Ante Pavelic diretto ai delegati di Azione Cattolica: "Nella nostra battaglia politica è certo che Azione Cattolica abbia avuto un ruolo importante". Anche il direttore del settimanale cattolico Katolicki Tjednik lodò nel numero del 27 aprile 41 i risultati ottenuti da Azione Cattolica, della quale era stato un influente leader nell’organizzare la Gioventù dei Crociati. 
L’associazione "Grande Fratellanza dei Crociati" era composta da 540 società con circa 30 mila membri, mentre la "Grande Sorellanza dei Crociati" aveva circa 452 società con 18,935 membri. Sotto la copertura di un presunto lavoro religioso, queste organizzazioni svolsero l’importante ruolo di inculcare lo spirito del fascismo e dell’odio razziale e religioso nella gioventù. I membri venivano indottrinati con l’ideologia Ustasha di naziolanismo sciovinistico. 
I crociati avevano i loro campi di addestramento militare. Il settimanale crociato Nedelja dell’11 luglio 43 pubblicò un articolo che parlava dei corsi di addestramento militare dei crociati nei loro campi,  dove addestravano ufficiali per le future formazioni Ustasha. 
Il periodico Krizar (Il Crociato) nel febbraio 1942 descrisse come le organizzazioni dei crociati avessero servito da rifugio per la gioventù croata nella difficile lotta fra il 1929 e il 1934, e che molti giovani croati avesserlo sentito perlare per la prima volte dei fondatori Ustasha negli oscuri corridoi dei crociati. 
Quintali di documentazione rendono evidente come la Fratellanza e la Sorellanza dei Crociati venissero usate come copertura per le attività illegali del movimento ustasha fuorilegge nel regno di Jugoslavia. Quando il regno di Jugoslavia crollò molti membri dei crociati e diverse organizzazioni affiliate ricevettero importanti incarichi nello stato ustasha. 

Il periodico cattolico Katolicki Tjednik del 27 aprile 1941 riporta un articolo intitolato " I crociati rivolgono un saluto allo stato croato e al suo Poglanvik. Fra le altre cose, l’articolo diceva: "La grande fratellanza dei crociati ha mandato attraverso il cappellano militare dell’esercito ustasha, dottor Ivo Guberina, e attraverso in signori CVitanovic e Vitezic, il seguente saluto al Poglavnik: la nostra gioia e felicità sono indescrivibili nel salutare nel nome della Grande Fratellanza dei Crociati e dell’intera organizzazione dei Crociati il nostro Duce, l’imperatore del popolo croato, fondatore capo dello stato indipendente di Croazia, cresciuto nello spirito del cattolicesimo radicale, che non conosce compromessi di principio. Essi non hanno  mai pensato per un solo momento di cedere o abbandonare il programma del nazionalismo croato. Grande capo! I Cociati ti danno il benvenuto e ti esprimono il loro grande amore e devozione. Che il signore ti benedica con abbondanza, e che i Crociati possono continuare a costruire anime immortali per Dio, e personalità d’acciaio per il popolo croato. Dio è vivo, per la terra del padre noi siamo pronti!"
(continua…) 

Come scrive  Karlheinz Deschner, in Croazia riecheggiava la stessa retorica di stampo crociato, fanatica e fratricida, già sentita in Spagna nel 1936:

 
"Vescovi e preti sedevano nel Sabor, il parlamento ustasa. Religiosi fungevano da ufficiali della guardia del corpo di Pavelic. I cappellani ustasa giuravano ubbidienza dinanzi a due candele, un crocifisso, un pugnale ed una pistola. I Gesuiti, ma più ancora i Francescani, comandavano bande armate ed organizzavano massacri: "Abbasso i Serbi!". Essi dichiaravano giunta "l’ora del revolver e del fucile"; affermavano "non essere più peccato uccidere un bambino di sette anni, se questo infrange la legge degli ustasa". "Ammazzare tutti i Serbi nel tempo più breve possibile": questo fu indicato più volte come "il nostro programma" dal francescano Simic, un vicario militare degli Ustasa. Francescani erano anche i boia dei campi di concentramento. Essi speravano, nella "Croazia Indipendente", in quello "Stato cristiano e cattolico", la "Croazia di Dio e di Maria", "Regno di Cristo", come vagheggiava la stampa cattolica del paese, che encomiava anche Adolf Hitler definendolo "crociato di Dio". [3-7] 

Ante Pavelic con l’episcopato della Chiesa cattolica ad un ricevimento in occasione del suo compleanno.
Suore marciano con i legionari nazisti croati (Ustasha).

(… continua) 
L’organizzazione dei Crociati era diretta in modo centralizzato da Zagabria. L’arcivescovo Stepinac confermava personalmente la scelta dei suoi capi. 
A presidente dell’organizzazione Stepinac aveva messo il noto fascista dottor Dr. Feliks Niedzielski, e come primo curato e vicepresidente aveva nominato monsignor Milan Beluhan.

La commissione di inchiesta ha accertato che nel periodo precedente la guerra molte chiese e monasteri cattolici della Jugoslavia servirono come sede per incontri segreti degli Ustasha. Per citarne solo alcuni,  gli incontri fra il leader del movimento illegale ustasha in Jugoslavia e i delegati di Pavelic dall’Italia e dalla germania si tenevano nel monastero francescano di Cuntic. 
I preti occupavano posizioni di grande responsabilità nell’organizzazione illegale ustasha. 
(continua …)
In proposito lo storico Dusan Batakovic ha scritto: 
 
"L’alto clero della Chiesa cattolica croata aveva stabilito una aperta collaborazione con le autorità Ustasha. Alla sua guida c’era l’arcicvescovo di Zagabria Mons. Alojzije Stepinac, che salutò la creazione del nuovo stato e diede la benedizione ad Ante Pavelic. La maggior parte dei vescovi cattolici (Mons. Saric di Sarajevo, Mons. Bonefacic di Split, Mons. Pusic di Hvar, Mons. Srebrenic di Krk, Mons. Buric di Senj, Mons Aksamovic di Djakovo, Mons Garic di Banja Luka, Mons. Mileta di Sibenik) hanno lavoratro attivamente per propagare il regime Ustasha, e un certo numero di preti e di suore portava l’uniforme Ustasha, soprattutto i francescani della Bosnia che non fecero nulla per nascondere la loro partecipazione ai crimini." [3-8]

( … continua)

Molti approfittavano le loro privilegi come preti per operare come servizio di corriere fra le varie organizzazioni ustasha, altri addirittura organizzavano segretamente gruppi ustasha. Il prete della diocesi di Ogulin, Ivan Mikan, era il principale organizzatore delle attività ustasha di Ogulin. 
In una petizione al Ministro dell’Agricoltura del 7 maggio’42, il dottor Berkovic vantava i seguenti servizi resi alle organizzazioni Ustasha: "Durante 14 anni passato come prete a Drnis, la mia parrocchia era letteralmente la casa degli Ustasha, era il punto di incontro degli Ustasha, non solo della nostra regione, ma di tutti quelli che venivano nella zona per organizzare le attività degli Ustasha…" 
I più alti livelli della gerarchia cattolica intrattenevano tutti attività simili. L’arcivescovo di Sarajevo, Ivan Saric, incontrò i leader Ustasha in Sud America, e ne parlò apertamente su Katolicki Tjednik del 18 maggio 1941. In uno dei suoi viaggi in Vaticano, nel 1938, Saric incontrò Pavelic, nella Basilica di S.Pietro, e in seguito gli dedicò un poema che comparve su tutte le più importanti pubblicazioni cattoliche. 
(continua …)

"ODE AL POGLAVNIK" 
 
Dall’ "Ode al Poglavnik" dell’Arcivescovo di Sarajevo leggiamo: 
"Il poeta ti ha incontrato nella Città Santa, 
nella basilica di S. Pietro, la tua presenza 
era limpida come quella della patria natìa. 
Che Dio onnipotente sia con te, 
in modo che  tu possa portare a termine 
il tuo compito sublime! 
Idolo dei croati, tu difendi gli antichi diritti sacri. 
Tu ci difenderai dall’ingordigia dei giudei 
con tutti i loro soldi, i miserabili che volevano 
vendere le nostre anime e tradire i nostri nomi. 
Proteggi le nostre vite dall’inferno, 
dal marxismo e dal bolscevismo." 


Ante Pavelic era noto per una tale crudeltà da aver impressionato gli stessi caporioni nazisti che lo visitavano. Sulla sua scrivania Pavelic usava tenere un cestino con gli occhi che erano stati cavati alle vittime prima di venire sgozzate, asfissiate o uccise a martellate. Quella che sembrerebbe a prima vista una semplice leggenda metropolitana è stata confermata da diverse fonti, fra cui lo scrittore italiano Curzio Malaparte:

 
"Mentre si parlava, io osservavo un paniere di vimini posto sulla scrivania, alla sinistra del Poglavnik. Il coperchio era sollevato, si vedeva che il paniere era colmo di frutti di mare, così mi parvero, e avrei detto di ostriche, ma tolte dal guscio, come quelle che si vedono talvolta esposte, in grandi vassoi, nelle vetrine di Fortnum and Mason, in Piccadilly a Londra. Casertano (ministro italiano a Zagabria, ndr) mi guardò, stringendo l’occhio: "Ti piacerebbe, eh, una bella zuppa di ostriche!". "Sono ostriche della Dalmazia?", domandai al Poglavnik. Ante Pavelic sollevò il coperchio del paniere e mostrando quei frutti di mare, quella massa viscida e gelatinosa di ostriche, disse sorridendo, con quel suo sorriso buono e stanco: " E’ un regalo dei miei fedeli ustascia: sono venti chili di occhi umani" 
C. Malaparte, Kaputt, pag.429.

 

Questo era l’uomo che Stepinac ricevette e benedisse nella cattedrale di Zagabria, e poi sostenne finchè rimase al potere, incitando il clero e il popolo croato a seguire le sue orme. Sotto a destra: Stepinac, che era anche il più alto cappelllano militare dell’esercito di Pavelic, porge visita al dittatore per gli auguri di buon anno indossando la medaglia degli Ustasha. 


In proposito, nell’introduzione al libro "l’Arcivescovo del genocidio" di Marco Aurelio Rivelli leggiamo: 
 
"Interrogato durante il suo processo sul perché avesse accettato l’onoreficenza degli Ustasha, Stepinac non si vergognò di rispondere che «…se avessi rifiutato la massima onorificenza militare ustaša, sarebbero successe delle cose ancora più terribili… Noi abbiamo stabilito in modo chiaro i principî delle conversioni, gli ortodossi erano liberi e nello stato spirituale di convertirsi o meno», senza rendersi conto della plateale contraddizione: infatti, il pubblico ministero gli contestò che non era pensabile che un uomo del suo rango non potesse rifiutare un’onorificenza per timore di cose terribili, laddove, a dire dello stesso Stepinac, perfino i serbi potevano liberamente scegliere senza conseguenze se diventare ortodossi o meno. Il vile Stepinac non rispose." [3-9]

NOTA: Quella presentata finora è solo una parte dei capi d’accusa contro Stepinac citati dal documento dell’Ambasciata jugoslava, che invitiamo a leggere per intero. LINK
La Auschwitz del Vaticano – 4a parte 

LA AUSCHWITZ DEL VATICANO Quarta parte JASENOVAC LA GUERRA DEI FRANCESCANI 


JASENOVAC 
Ignorato sistematicamente dagli storici, Jasenovac fu il terzo campo di concentramento per dimensioni, dopo Auschwitz e Buchenwald, di tutta la seconda guerra mondiale (in realtà si trattava di un complesso di 5 campi diversi, tutti collegati fra loro). E’ qui che avvenne la maggior parte dei massacri operati dagli Ustasha contro le etnie non croate e non-cattoliche dello Stato Indipendente di Croazia. 

Donne e ragazze serbe verso il campo di concentramento.


A Jasenovac morirono in tre anni circa settecentomila persone, che furono uccise con una brutalità inimmaginabile (le stime vanno da un minimo di 100.000 a un massimo di 1.000.000, ma la maggior parte degli storici sembra concordare su una cifra di circa 700.000 vittime in tutto). I più fortunati morirono di fame o di stenti, oppure con i liquidi dello stomaco e le intestina congelati dal freddo. Gli altri – uomini donne e bambini, senza differenza alcuna – venivano sgozzati vivi con un coltello speciale, chiamato srbosjek (sotto a sin.), che restava costantemente fisso al polso, oppure venivano affogati, bruciati, decapitati, strangolati con il filo spinato, o uccisi con una speciale mazza di legno (sotto a destra), che gli fracassava il cranio con un colpo alla tempia. 




C’erano settimane in cui il fiume Sava era perennemente tinto di rosso, a causa dei cadaveri che vi venivano gettati a migliaia dalla vicina Jasenovac. 
A SINISTRA: cavaderi che galleggiano nelle acque del fiume Sava. A DESTRA: Due Ustasha tengono un prigioniero per le braccia, mentre un terzo lo decapita con un’ascia. Gli altri stanno a guardare.


Il serbo Milos Teslic, noto industriale e filantropo, fu torturato e ucciso in modo brutale dagli Ustasha. Le ossa gli furono spezzate, le orecchie e le labbra tagliate, gli occhi cavati, il petto trafitto, e il cuore gli fu strappato. Secondo i testimoni presenti, quando uno degli Ustasha prese in mano il cuore batteva ancora.

Nei campi di Jasenovac e Stara Gradiska morirono circa 8.000 bambini.

Poco prima della liberazione, nel 1945, gli Ustasha rasero al suolo Jasenovac, dopo aver riesumato e dato alle fiamme migliaia di cadaveri, nel tentativo di cancellare le orme dell’eccidio commesso. 

LA GUERRA DEI FRANCESCANI 

Come abbiamo visto negli atti di accusa contro Stepinac, i francescani della Croazia parteciparono attivamente sia alla preparazione della rivolta degli Ustasha, sia ai massacri compiuti in seguito contro i serbo-ortodossi. 
In un articolo di Corrado Soli, comparso sul Resto del Carlino il 18 sett. 1941, si leggeva: 
"Ci sono state bande di massacratori che erano e verosimilmente lo sono ancora capeggiate e infiammate da sacerdoti e monaci cattolici." [4-1]

Ma è soprattutto nel propagandare l’odio religioso contro i serbo-ortodossi, incitandone apertamente lo sterminio, che i francescani diedero il principale contribuito alla "crociata" del Vaticano nella nuova Croazia. 
Molti di loro avevano seguito l’esempio di Stepinac, entrando come cappellano militare nell’esercito degli Ustasha [4-2]. 
Esattamente come in Spagna, i cappellani militari davano regolarmente l’assoluzione anticipata alle truppe Ustasha che si apprestavano a compiere i massacri sui serbo-ortodossi, mentre offrivano la benedizione ai corpi speciali della polizia Ustasha (l’equivalente delle SS tedesche). 
 
SOPRA: Membri della guardia del corpo giurano fedeltà fino alla morte al leader croato e ricevono la benedizione della Chiesa. SOTTO: Giuramento della polizia Ustasha nel 1943 con la benedizione della Chiesa.

 
Nelle prime 60 pagine del suo libro "Jasenovac ieri e oggi – La cospirazione del silenzio", William Dorich elenca i nomi di oltre 1000 preti cattolici che parteciparono alle mattanze nella Repubblica Indipendente di Croazia. 
Dalla presentazione del libro leggiamo: "La maggior oparte dei serbi furono uccisi dai loro vicini, che venivano incoraggiati ad ammazzarli dai preti cattolici che guidarono un genocidio di oltre un milione di vittime."  LINK 
QUESTA PAGINA di Internet riporta i nomi di 250 membri del clero cattolico coinvolti nelle azioni criminali degli Ustasha. La lista si ferma alla lettera "H". 

Mentre i colleghi nell’esercito svolgevano il ruolo di cappellano militare, altri francescani completavano l’opera di propaganda direttamente dall’altare: 
 
"Tramite i giornali e la radio, un odio assetato di sangue veniva istigato contro i serbi dal pulpito. Fra Sreko Peric, un francescano, mandava questo messaggio dall’altare della chiesa di Gorica, vicino a Livno: ‘Fratelli Croati! Andate e uccidete tutti i serbi. Prima uccidete mia sorella, che è sposata con un serbo, e poi ammazzate tutti gli altri. Quando avrete concluso il lavoro venite alla mia chiesa. Io vi confesserò e vi darò la comunione, e tutti i vostri crimini saranno perdonati.’ Dopodichè ebbe inizio il massacro. La crudeltà del massacro di quel giorno lascia senza fiato. Orde di Ustasha violentavano le donne e le tagliavano i seni, tagliavano gambe e braccia a quelle più anziane, e poi le cavavano gli occhi. Decapitavano i bambini, per poi buttarli in braccio alle loro madri. [...] I più orrendi crimini nella provincia di Knin furono commessi dal comandante Ustasha Fra’ Viekoslav Simic. Questo servo di Dio e di San Francesco uccideva personalmente i serbi." 
[4-3]

Contemporaneamente, dal pulpito i preti cattolici esaltavano le azioni vittoriose di Italia e Germania e inneggiavano al loro Poglavnik, che ritenevano mandato da Dio ad assolvere il sacro compito di restituire la Croazia al cattolicesimo, e viceversa. 

Padre Bozidar Bralo è noto per aver ucciso personalmente migliaia di serbi, sia nel campo di sterminio di Jasenovac che nei villaggi serbi di Sabalj, Marsic-Gaj, Piskavica, Ponira, Biljevina e Grmec. In una occasione organizzò il massacro di 180 serbi, e poi ballò la danza nazionale croata attorno ai loro cadaveri, prima che fossero gettati nel fiume. Era membro del parlamento Ustasha, insieme a Stepinac, e ricevette diverse onoreficenze da Ante Pavelìc. [4-4] 

Quando non erano i preti cattolici ad arringare il popolo contro i serbi lo facevano direttamente i caporioni Ustasha, ai quali la Chiesa prestava generosamente il pulpito, in una sempre più perversa commistione di ruoli, intenti e filosofia di fondo. 

Il locale comandante Ustasha, Plese, durante un discorso dall’altare della chiesa. Gli altari servivano come palco per i discorsi di propaganda degli Ustasha.



"FRATELLO SATANA"

Fra i francescani che si distinsero per lo zelo genocida merita un capitolo a parte Fra’ Miroslav Filipovic, soprannominato "Fratello Satana", il francescano che per un certo periodo fu direttore del campo di concentramento di Jasenovac, prima di passare a dirigere quello di Stara Gradiska. Qui Filipovic conduceva personalmente molte delle mattanze compiute quotidianamente fra i prigionieri. A quanto raccontato dai superstiti, amava in particolar modo sgozzare i bambini, con lo speciale coltello ideato personalmente da Ante Pavelic. 
(A sinistra, Fra’ Filipovic con l’abito da francescano. A destra con l’uniforme degli Ustasha).
Così lo storico Vladimir Dedijer descrive il modo in cui Fra’ Filipovic si guadagnò i galloni di comandante del campo di sterminio di Jasenovac: 

 
Già nel 1940 aveva prestato il giuramento Ustasha. Dopo la nascita della Repubblica di Croazia, lui e altri funzionari Ustasha organizzarono la persecuzione dei serbi, e lui stesso prese parte ai massacri. Fra i suoi molteplici crimini vi sono i massacri dei villaggi di Drakulici, Sargovac e Motika, vicino a Banja Luka. Qui  arrivò il 7 febbraio 1942, con l’intenzione di uccidere i serbi che vi abitavano, alla guida del battaglione Pavelic. Padre Filipovic uccise la prima vittima, il bambino Duro Glamocanin, gridando: "Ustasha, questo avviene nel nome di Dio. Io battezzo questi bambini e voi seguitemi. Io per primo prendo su di me l’intero peccato, e poi vi comfesserò in modo che siate perdonati per i vostri peccati". Poi incitò gli Ustasha criminali, che uccisero circa 1.500 uomini donne e bambini, con asce e bastoni. Dopo essersi dimostrato unatale  bestia umana gli Ustasha capirono di poterne fare buon uso, lo promossero e lo nominarono comandante dell’infame campo di Jasenovac. Là portava a termine quotidianamente gli omicidi con le sue mani , spesso di donne e bambini, che uccideva con colpi di martello di legno alla testa. Terrorizzava i prigionieri del campo e li uccideva senza pietà, come è stato raccontato nelle testimonianze dei superstiti.  [4-5]


Il francescano Miroslav Filipovic legge la Messa durante una celebrazione a Banja-Luka. Alla sua destra l’Ustasha Velikii Zhupan, governatore di Banja-Luka, che tiene in mano una corona di frumento.

Quando la Croazia fu liberata dai partigiani jugoslavi Filipovic fu arrestato, e fu poi processato dalla nuova Repubblica Federale Jugoslava. Nella sua deposizione di fronte alla Commissione Nazionale Croata sui crimini di guerra, Filipovic dichiarò: 
"Sono stato amministratore del campo di Jasenovac dal giugno 1942 all’ottobre 1942. Riconosco di aver personalmente ucciso, durante le pubbliche esecuzioni, circa 100 prigionieri nei campi di Jasenovac e Stara Gradiska. Riconosco anche che durante la mia amministrazione del campo vi furono esecuzioni di massa, alle quali non ho partecipato, anche se ero a conoscenza delle esecuzioni. Anzi, mi correggo, ero presente alle esecuzioni di massa, ma non ho partecipato [...] A Gradina le esecuzioni avvenivano con un martello di legno. Erano fatte in modo che la vittima dovesse prima calarsi in una buca che era già stata scavata [di solito dalla vittima stessa, N.d.T.], per poi ricevere un colpo di martello dietro la testa. Le uccisioni avvenivano anche con pistola o con il taglio della gola. Durante la liquidazione delle donne e delle ragazze a Gradina, so che venivano violentate le più giovani [...] Io non ho mai violentato nessuno. Durante la mia amministrazione, secondo i miei calcoli, furono liquidati a Jasenovac fra 20 e 30.000 prigionieri [...] Alla fine di ottobre del 1942 mi trasferii a Stara Gradiska, dove rimasi fino al marzo del ‘43. In quel periodo vi furono anche liquidazioni di massa, di solito eseguite fuori dal campo [...] Nell’aprile del 1945 sono tornato a Jasenovac, dove sono rimasto fino alla fine. So che in quel periodo i cadaveri dei prigionieri di Gradina venivano riesumati e bruciati per cancellare le tracce di quello che era successo. Io non ho partecipato alla liquidazione di questi ultimi prigionieri, ma solo alla loro riesumazione."  [4-6]

In realtà – commenta la Commissione nel documento – diverse testimonianze confermano che le uccisioni operate da Filipovic furono in numero molto, molto maggiore di quello dichiarato. Secondo alcune testimonianze, in una sola notte Filipovic avrebbe sgozzato personalmente oltre 100 bambini. Sempre nel ‘42 il responsabile di Jasenovac, che riferiva direttamente a Pavelic, ha dichiarato: 

"In un anno, soltanto qui a Jasenovac, abbiamo ammazzato più gente di quanta ne sia riuscita ad ammazzare l’impero ottomano in tutta la permanenza dei turchi in Europa."  [4-7]

Filipovic fu condannato a morte, insieme a molti altri Ustasha responsabili della gestione di Jasenovac e degli altri campi di concentramento. 
Un altro francescano noto per sua la furia omicida fu Vicko Rendic, che diresse a sua volta per un certo periodo di tempo il campo di sterminio di Jasenovac. 


LA DISTRUZIONE DELLE CHIESE ORTODOSSE 

A conferma dell’onnipresente sapore di "crociata" che permeava tutte le azioni degli Ustasha vi fu la sistematica distruzione delle chiese ortodosse nei territori occupati, insieme all’eccidio, spesso truculento, dei preti della stessa religione. 
In proposito, Dusan Batakovic ha scritto: 
"Gli alti dignitari e gli ecclesiastici della Chiesa ortodossa serba erano un bersaglio privilegiato degli attacchi Ustasha. Sul territorio dello Stato Indipendente di Croazia c’erano nove vescovi serbi, 1.100 chiese, 31 monasteri, 800 preti e 160 suore. Tre dei vescovi più importanti, Mons. Platon Jovanovic di Banja Luka, Mons.Petar Zimonjic di Sarajevo, metropolita di Bosnia, e Mons Sava Trlajic, vescovo di Karlovac, furono assassinati in maniera brutale.  Il metropolita di Zagabria, Mons. Dositej, fu deportato a Belgrado dopo essere stato torturato. Nello Stato Indipendente di Croazia circa 300 preti [serbi] furono uccisi, dopo che un gran numero fu espulso verso la Serbia. Nella diocesi di Karlovic furono incendiate, distrutte o fortemente danneggiate 175 chiese. Nella diocesi di Pakrac su un totale di 99 chiese, 53 sono stati incendiate e 22 danneggiate. Nelle diocesi della Dalmazia 18 chiese demolite e 55 danneggiate, su un totale di 109. Nella diocesi di Dubica il numero totale degli abitanti serbi è crollato in poco tempo da oltre 32.000 a 13.000 circa. Su tutto il territorio della Repubblica Croata, nei cinque anni di potere degli Ustasha, circa 400 chiese e monasteri serbi sono stati demoliti, mentre quelli danneggiati venivano utilizzati come sacrestie, avamposti,  mattatoi per il bestiame o gabinetti pubblici. A Jasenovacla chiesa ortodossa locale, prima di esser interamente distrutta, era stata trasformata in stalla. La distruzione sistematica non ha risparmiato nemmeno i cimiteri ortodossi, che venivano distrutti e poi rimossi, come quelli di Banja Luka, Cajnice, Brcko, Travnik, Mostar, Ljubinje, Slavonski Brod, Borovo, Tenja e molti altri ." [4-8]



LE CONVERSIONI FORZATE 
I serbi che venivano risparmiati dagli Ustasha venivano obbligati a convertirsi al cattolicesimo, pena l’espulsione o la deportazione nei campi di concentramento. 
Il folle sogno di trasformare una nazione multietnica e multireligiosa in un paese esclusivamente cattolico si fermò solo quando le armate dei partigiani jugoslavi riuscirono finalmente a sconfiggere gli Ustasha e a liberare il territorio occupato. 

Nel frattempo quasi un milione di civili innocenti era stati uccisi, nel nome di un Dio che teoricamente avrebbe dovuto essere lo stesso per tutti.

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