Roberto Renzetti.
Questo argomento ha almeno una doppia possibile lettura. Da un lato vi è quella ordinaria sulla quale concordiamo tutti oggi e cioè ogni fenomeno naturale che venga interpretato al di là del suo semplice essere e manifestarsi al fine di capire l' esito di un qualcosa che accadrà nel futuro. Dall' altro vi è il suo modo storico di affermarsi nella sua doppia vertente: la prima analoga a quanto già detto, la seconda invece, a mio giudizio più rilevante, di natura religiosa. Non è comunque molto semplice essere precisi e fornire elementi univoci sul significato e le ricadute che il termine superstizione ha ed ha avuto. Ed è proprio a questo fine che affronto il tema nei suoi diversi significati assunti, in modo particolare dall' affermazione del Cristianesimo con Costantino il Grande.
La superstizione è oggi ufficialmente condannata
dalle gerarchie ma generalmente praticata tra i fedeli cattolici in ogni Paese senza che la cosa risulti deprecabile e condannabile in modo duro dalla gerarchia medesima. In passato, alle origini del Cristianesimo vi fu una lotta molto dura da parte della Chiesa contro la superstizione, lotta alla quale dettero un importante contributo i Padri della Chiesa e particolarmente Sant'Agostino.
Il termine superstizione deriva dal latino superstitionem che discende da superstare con il significato di stare al di sopra e quindi di essere testimone (superstes) di qualche avvenimento passato che viene riconosciuto come avvenuto davvero. Come si può capire sfugge a questo termine un significato religioso. Se andiamo a leggere nel De natura deorum (45 a. C.) di Cicerone (106 a.C. - 43 a.C.) troviamo invece per il termine superstizione un significato che è già religioso in quanto si affida agli dei la sorte dei propri cari:
[II, 72]Coloro che trascorrevano le intere giornate a pregare e a far sacrifici perché i loro figli sopravvivessero, perché fossero cioè dei "superstiti", furono detti "superstiziosi", un termine che assumerà in seguito un valore più ampio. Coloro invece che riconsideravano e, per così dire, "rieleggevano " tutte le pratiche del culto furono detti religiosi dal verbo relegere così come elegantes deriva da eligere, diligentes da diligere e intellegentes da intellegere. In tutte queste parole è implicito lo stesso significato dí legere che troviamo in "religioso". Accadde così che il termine "superstizioso" esprimesse un difetto, "religioso", invece, un pregio. Con ciò mi sembra di aver esaurito quanto avevo da dire sull'esistenza e sull'essenza degli dèi.
In quanto scriveva Cicerone vi è anche una precisa distinzione tra le due religioni, quella superstiziosa e quella ordinaria che, contrariamente alla superstizione, deve essere ben considerata
Ho citato Cicerone perché a questo brano faranno riferimento gli scrittori cristiani come Isidoro di Siviglia (circa 560 - 636) nel suo Etymologiarum sive originum libri XX:
[X, 244] Cicerone dice che sono chiamati superstiziosi (Nat. Deor. II, 72) coloro che pregano o sacrificano tutti i giorni perché i figli sopravvivano loro.
Ancora in epoca romana, quindi, già abbiamo la superstizione intesa come un qualcosa di diverso e meno nobile della religione che rappresenta un qualcosa di più ordinato, di codificato, di meno estemporaneo.
Al di là però dello scherno che le persone colte riservavano ai superstiziosi non vi erano condanne di un qualche tipo. In definitiva la superstizione rientrava in un particolare tipo di religione all'interno della tolleranza che regnava in Roma per tutte le religioni. Superstizione infatti via via inglobò significati più ampi come ad esempio la divinazione della quale ancora Cicerone si occupò nella sua De divinatione (44 a.C.). Così scriveva Cicerone a proposito di divinazione, del fare cioè profezie:
[II, 24] È molto spiritoso quel vecchio motto di Catone, il quale diceva di meravigliarsi che un arùspice non si mettesse a ridere quando vedeva un altro arùspice. Quante delle cose predette da costoro si sono verificate? E se qualche evento si è verificato, quali prove si possono addurre contro l'eventualità che ciò sia accaduto per caso? Il re Prusia, quando Annibale, esule presso di lui, lo esortava a far guerra a oltranza, diceva di non volersi arrischiare, perché l'esame delle viscere lo dissuadeva. "Dici sul serio?" esclamò Annibale; "preferisci dar retta a un pezzetto di carne di vitella che a un vecchio condottiero?" E Cesare stesso, dissuaso dal sommo arùspice dall'imbarcarsi per l'Africa prima del solstizio d'inverno, non s'imbarcò egualmente? Se non l'avesse fatto, tutte le truppe dei suoi avversari avrebbero avuto il tempo di concentrarsi in un solo luogo. Devo mettermi a fare l'elenco (e potrei fare un elenco davvero interminabile) dei responsi degli aruspici che non hanno avuto alcun effetto o lo hanno avuto contrario alle previsioni? In quest'ultima guerra civile, quante predizioni, per gli dèi immortali!, ci delusero! Quali responsi di arùspici ci furono trasmessi da Roma in Grecia! Quali cose furono predette a Pompeo! E in verità egli credeva moltissimo alle viscere e ai prodigi. Non ho voglia di rammentare queste cose, e non ce n'è bisogno, meno che mai a te, che eri presente; vedi bene, tuttavia, che quasi tutto è accaduto al contrario di quel che ci era stato predetto. Ma di ciò non parliamo più; ritorniamo ai prodigi.
Ho citato le due principali opere di Cicerone sull'argomento perché Cicerone conosceva bene la religione in Roma in quanto aveva il ruolo di augure, era cioè un sacerdote con il compito di interpretare il volere degli dei. Scriveva quindi dall'interno. I cristiani attinsero da queste sue opere praticamente tutti gli argomenti contro il politeismo.
E' utile chiarire subito che parlare di superstizione non ha a che vedere con magia o consimili. La magia è antichissima e storicamente risale ai caldei. Non mi occupo ora di essa ma, appunto, solo di superstizione che è come detto un portato sia diretto che indiretto del Cristianesimo. Scopriremo però che i confini tra magia, superstizione, divinazione, alchimia, sono molto ma molto labili e dipendono essenzialmente dall'uso che delle varie pratiche fanno i cultori o gli utenti. In definitiva, nonostante la premessa, sotto la voce superstizione troviamo un poco di tutto: credenze, magie nere e bianche, amuleti, talismani, pratiche divinatorie come lettura di viscere, di carte, astrologia, ..., pozioni, filtri, incantesimi,
Vi è un altro autore romano e precristiano, Lucrezio (98 a.C. - 55 a.C.), che dette una definizione di superstizione differente da quella di Cicerone. Nel De Rerum natura (Libro I, 62-101) egli condannò il matrimonio-sacrificio di Ifigenia, ordinato dal padre Agamennone per placare l’ira di Atena e poter partire per la guerra di Troia con la flotta greca. Nel brano si usa il temine religio ma vari latinisti concordano nella traduzione di superstizione (superstitio). A me sembra più corretto sostenere che Epicuro non facesse distinzione tra religio e superstitio perché è la medesima religio che è una superstitio. Scriveva Lucrezio, mai citato da Cicerone che odiava Epicuro e l'empietà dei due:
Mentre la vita umana giaceva sulla terra,
turpe spettacolo, oppressa dal grave peso della religione,
che mostrava il suo capo dalle regioni celesti con orribile
aspetto incombendo dall'alto sugli uomini,
per primo un uomo greco [Epicuro, ndr] ebbe il coraggio di sollevare gli occhi
mortali a sfidarla, e per primo opponendovisi contro:
non lo domarono le leggende degli dei, né i fulmini, né il minaccioso
brontolio del cielo; anzi tanto più ne stimolarono
il fiero valore dell'animo, così che volle
infrangere per primo le porte sbarrate dell'universo.
E dunque trionfò la vivida forza del suo animo
e si spinse lontano, oltre le mura fiammeggianti del mondo,
e percorse con il cuore e la mente l'immenso universo
da cui riporta a noi vittorioso quel che può nascere,
quel che non può, e infine per quale ragione ogni cosa
ha un potere definito ed un termine profondamente connaturato.
Perciò a sua volta abbattuta sotto i piedi la religione
è calpestata, mentre la vittoria ci eguaglia al cielo.
A questo proposito, temo ciò che tu per caso intenda
abbracciare i principi di un'empia dottrina e di
imboccare la via del delitto. Ma al contrario più volte
quella religione partorì azioni scellerate ed empie.
Così in Aulide i comandanti scelti dei Greci, fior fiore degli eroi,
macchiarono ignobilmente con il sangue di Ifianassa [Ifigenia, ndr]
l'altare della vergine Trivia [Diana, ndr].
Non appena la benda ravvolte le virginali chiome
le fu fatta scendere in parti uguali su ciascuna delle due guance,
ed ella sentì il padre dolente presso l'altare,
e accanto a lui i sacerdoti che nascondevano il ferro
e alla sua vista i cittadini non potevano trattenere le lacrime,
muta per il terrore cadeva a terra piegata sulle ginocchia.
Né alla misera poteva giovare in quel momento
l'aver donato al re il nome di padre.
Fu sollevata dalle mani dei soldati e fu condotta
tutta tremante all'altare, non affinché portata a termine la solenne cerimonia
potesse essere condotta tra i cori dello splendido Imeneo,
ma empiamente pura nello stesso tempo delle nozze
perché cadesse triste vittima immolata dal padre,
affinché fosse data una partenza felice e fausta alla flotta.
A tanto delitto poté indurre la superstizione.
Quindi, spiegava Lucrezio, il malvagio è colui che crede nella religio e che per essa fa cose orrende. La religione è in grado di sopprimere e condizionare la vita di tutti gli uomini immettendo nel loro cuore la paura: ma se gli uomini sapessero che dopo la morte non c'è più nulla, smetterebbero di essere succubi della religio (o superstitio) e dei timori che essa comporta. Per Lucrezio vi è nesso tra religione, timore della morte e necessità di conoscere razionalmente la natura per ovviare a questo timore. I timori di ogni genere nascono dall'ignoranza delle leggi che governano il mondo. Non a caso, narrava Tito Livio (59 a.C. - 17 d.C.) nella sua monumentale Ab Urbe condita (I, 19, 4), che fu Numa Pompilio (754 a.C. - 673 a.C.) che decise di infondere ai romani il timore degli dei. Quale grande potere possa discendere da tale timore in un popolo ignorante già era noto da secoli ai più avveduti(1).
Vedremo tra poco che Lattanzio (250 - 327), un autore cristiano, si rifarà piuttosto alla definizione di superstizione di Lucrezio che a quella di Cicerone, naturalmente cambiando ciò che era necessario per cristianizzare il concetto.
BIBBIA E SUPERSTIZIONE
La Bibbia dedica alla superstizione poche parole. Occorre però un minimo di attenzione perché nella prima traduzione latina dal greco e dall'ebraico della Bibbia, la Vulgata, fatta da Eusebio Girolamo o San Girolamo (347 - 420) non compare né nel Vecchio testamento né nei Vangeli la parola superstitio. Essa si ritrova solo due volte negli Atti degli Apostoli e nella lettera ai Colossesi di San Paolo. Leggiamo i brani in oggetto:
1 - Paolo è processato perché gli ebrei lo ritenevano superstizioso in quanto credeva che Gesù fosse vivo quando era morto. [Atti, 25, 19] Ma avevano solamente dei punti di disaccordo sulla loro religione e intorno a un certo Gesù, morto, che Paolo diceva essere vivente. Qui Girolamo deve far riferimento alle leggi romane che non condannano Paolo in quanto l'accusa di superstizione proveniva dagli ebrei che i cristiani ritenevano superstiziosi. E così Girolamo scrive: quaestiones de sua superstitione habebant. Occorre dire che almeno dai tempi di Tacito (dopo l'incendio di Roma del 64) è l'intero Cristianesimo che è considerato come superstitio illicita (o religio illicita).
2 - Paolo è invitato a esporre le sue teorie in una conferenza pubblica all’Areòpago (una collina dedicata a Marte) di Atene. Egli dice [Atti, 17, 22 e 23] Allora Paolo, stando in piedi in mezzo all'Areopago, disse: Ateniesi, io vi trovo in ogni cosa fin troppo religiosi. Poiché, passando in rassegna e osservando gli oggetti del vostro culto, ho trovato anche un altare sul quale era scritto: al dio sconosciuto. Quello dunque che voi adorate senza conoscerlo, io ve lo annunzio. La questione ruota intorno a quel fin troppo religiosi. La parola greca era deisidaimon che letteralmente significa timorosi degli dei. Probabilmente per quella parola composta che contiene anche il dubbio e pericoloso (per i cristiani) termine daimon, Girolamo tradusse quasi superstitiores. Il quasi fa riferimento all'annuncio della nuova fede fatto da Paolo che non poteva prevedere una sola diretta offesa come superstitiores.
3 - Paolo parla a cristiani dicendo loro che possono tralasciare di essere rigorosi con questioni alimentari ma di occuparsi di cose più importanti. [Lettera ai Colossesi, 2, 23] Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne. Girolamo traduce quell'affettata religiosità con in superstitione.
Si nota subito nei tre brani riportati l'ambiguità che esiste tra religiosità e superstizione(2). Difficile da sciogliere, probabilmente per significati molto sottili noti solo a chi scriveva o traduceva. Anche nel Vecchio Testamento, in altre traduzioni più tarde si accennerà alla superstitio come nei due brani dell'Esodo e del Levitico che sono anatemi di Dio contro chi segue la superstizione (messo in relazione diretta con chi assume un altro Dio all'infuori di Lui) e che riporto. Nell'Esodo vi è una sola frase: Non lascerai vivere la fattucchiera (Esodo, 22, 17). Nel Levitico si afferma: Se un uomo si rivolge ai negromanti e agli indovini per darsi alle superstizioni dietro a loro, io volgerò la faccia contro quella persona e la eliminerò dal suo popolo (Levitico, 20, 6).
Una nota a questo punto risulterà utile. All'inizio dell'era cristiana, in Medio Oriente ed un poco dovunque, dovevano abbondare strani personaggi che si spacciavano per maghi, taumaturghi, guaritori, indovini, ... A tale proposito si deve ricordare che lo stesso Gesù era considerato un guaritore, un mago. Di tutti quei maghi dell'epoca che sbarcavano il povero lunario con prodigi di ogni tipo, non restano nomi oltre quello di Gesù e di un altro personaggio che si incontra negli Atti degli Apostoli, Simon Mago [8, 9-24]. Costui sembra fosse solo un seguace della setta degli gnostici (nel IV secolo il Padre della Chiesa Epifanio, lo condannò proprio con questa accusa) ma assume negli Atti il ruolo di oppositore di Pietro. A quest'ultimo Simon Mago chiede, in cambio di denaro, come si possa curare una persona toccandola con le mani. Il fine era disonesto e riguardava l'arricchimento (da qui ilo peccato di simonia). Simone non ottenendo ciò che ambisce, squalifica la figura di Gesù e mette in dubbio l'eredità che Pietro avrebbe avuto. Il tutto si conclude con una sfida magica lanciata a Pietro. All'inizio prevale Simone perché i suoi prodigi sono più appariscenti anche se, evidentemente secondo i cristiani, di provenienza malvagia, magica, di trucchi ed imbrogli. In una delle sue fantasmagoriche esibizioni, Simone fa sfoggio della levitazione innalzandosi dal suolo. Dalla quota a cui era arrivato, Simone cade (e la cosa è attribuita a Pietro) rompendosi una gamba. E' la fine ingloriosa di un ciarlatano. Resterebbe da capire i prodigi buoni, quelli di Pietro, da dove provengano e perché sono buoni. Il tutto sembrerebbe finire qui ma nei secoli successivi Simon Mago acquistò un peso narrativo molto importante. Fu visto come l'Anticristo, come il diavolo, tanto che nel Faust di Goethe il diavolo si presenta sotto le spoglie proprio di Simon Mago.
Altri elementi magici, cabalistici (non poteva essere altrimenti in una terra in cui, fra gli altri, vi erano ebrei), astrologici, vi sono negli stessi Vangeli. Intanto la numerologia si presenta con i numeri 12, 4 e 7. Come per gli ebrei vi erano le 12 tribù d'Israele, per i cristiani vi sono i 12 apostoli (l'apostolo 13 non può essere altra cosa che un peccatore, un Giuda). Costoro siederanno nei 12 troni nel cielo e giudicheranno le 12 tribù [Matteo, 19, 28]. E' un numero, il 12, considerato perfetto e sacro dagli antichi. Nel Libro della Creazione la dodicesima strada è quella della visione profetica. Inoltre vi sono 12 mesi e 12 segni zodiacali. Il 4 è poi legato ai quattro punti cardinali ma anche al quarto verso della Genesi in cui Dio divise la luce dalle tenebre. Nel Libro della Creazione la quarta via è quella da cui provengono tutti i poteri dello spirito e le essenze divine. Il significato cabalistico più profondo è il numero delle lettere che in ebraico indicano il nome di Dio, YHWH. Ma quattro sono anche gli elementi, le stagioni, i venti, le qualità (caldo, umido, freddo, secco). Il 7 è invece legato al settimo giorno in cui Dio terminò la Creazione benedicendola e santificandola. Esso rappresenta il trionfo dello spirito sulla materia. La settima strada del Libro della Creazione è quella dell'intelligenza occulta, della combinazione cioè tra fede ed intelletto. Il 7 in astronomia è il numero dei pianeti, del Sole e della Luna. Inoltre il ciclo lunare è di 28 giorni che sono 4 volte 7. I segni celesti che discendono da questioni astronomiche (leggi: astrologiche) o meteorologiche costituiscono poi un capitolo a sé, molto denso. Molti presagi apocalittici annunciano il Giorno del Giudizio Ma in quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore; le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno scrollate [Marco 13, 24-25]. Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell'uomo; e allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio e vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria [Matteo 24, 30]. Eventi miracolosi si verificano alla morte di Gesù: 33 Venuta l'ora sesta, si fecero tenebre su tutto il paese, fino all'ora nona. 34 All'ora nona, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì lamà sabactàni?» che, tradotto, vuol dire: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» 35 Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: «Chiama Elia!» 36 Uno di loro corse e, dopo aver inzuppato d'aceto una spugna, la pose in cima a una canna e gli diede da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se Elia viene a farlo scendere». 37 Gesù, emesso un gran grido, rese lo spirito. 38 E la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo [Marco 15, 33-38]. Differenti metafore descrivono Gesù in immagini cosmiche:
...allora si vedrà il Figlio dell'uomo venire sulle nuvole con grande potenza e gloria [Marco, 13, 26]; Gesù disse: «Io sono; e vedrete il Figlio dell'uomo, seduto alla destra della Potenza, venire sulle nuvole del cielo» [Marco, 14, 62]; e così via. Elementi astrologici, magici e meteorologici convergono per rendere più stupefacenti le immagini del Dio in terra. Si richiamano molte simbologie che erano degli dei dell'Olimpo. Particolarmente in [Matteo 2, 1, 12] vi è una intersezione tra simboli astrali ed astrologici con riferimento alla congiunzione astrale tra Saturno e Giove del 7 a.C (vero anno di nascita di Gesù, ndr): 1 Nato Gesù in Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco che dei Magi, venuti da Oriente, si presentarono a Gerusalemme, dicendo: 2 "Dov'è il re dei Giudei ch'è nato? Poiché abbiamo veduto la sua stella ad oriente e siamo venuti ad adorarlo". 3 Udito ciò, il re Erode si turbò e tutta Gerusalemme con lui; 4 e radunati tutti i gran sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro dove dovesse nascere il Messia. 5 Ed essi gli risposero: "In Betlemme di Giudea: così, infatti, è stato scritto dal profeta: 6 E tu, Betlemme, terra di Giuda, in nessun modo sei minima fra le grandi città di Giuda: da te, infatti, nascerà un capo, che sarà pastore del mio popolo, Israele". 7 Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece precisare il tempo dell'apparizione della stella e, inviandoli a Betlemme, disse: 8 "Andate e informatevi accuratamente del bambino; e, quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché anch'io venga ad adorarlo". 9 Udito il re, quelli partirono. Ed ecco la stella che avevano veduta all'oriente li precedeva, finché, giunta sul luogo dov'era il bambino, si fermò. 10 La vista della stella li rallegrò di grandissima gioia. 11 Ed entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre e, prostratisi, lo adorarono; poi, aperti i loro scrigni, gli presentarono in dono oro, incenso e mirra. 12 E, divinamente avvertiti in sogno di non tornare da Erode, ritornarono per altra via al loro paese.
LATTANZIO E LA SUPERSTIZIONE
Tra i Padri della Chiesa e pensatori cristiani a loro vicini o assimilabili, vi è il citato Lattanzio, un retore romano convertito al Cristianesimo intorno al 300, che ebbe un ruolo importante in questioni di superstizione ed esoterismo in genere. Egli scrisse le Divinae Institutiones (304 - 313) quasi in contemporanea dell'Editto di Costantino (e Licinio) che riconosce il Cristianesimo come religione di Stato (313). E Lattanzio fu amico di Costantino fin dai tempi di Diocleziano(3) riuscendo ad avere influenza su di lui in vari provvedimenti e leggi. Osservo qui che, a partire dall'Editto del 313 il paganesimo iniziò ad essere ufficialmente considerato come "superstizione svantaggiosa” mentre il cristianesimo come “santissima legge” divina.
Lattanzio nella sua opera distinse da quella di Cicerone la definizione di superstizione. Egli, in Div. Inst. 4, 28, 8, sostenne che I superstiziosi non sono quelli che sperano che i figli sopravviveranno loro, ma quelli che venerano la memoria dei defunti in quanto sopravvive ai defunti stessi, o anche quelli che, mediante le immagini dei loro genitori, li fanno oggetto di un culto domestico come quello tributato agli dei penati. Si può notare che siamo più vicini a Lucrezio e che si iniziano a ribaltare le cose con la denigrazione di culti, gli antenati, i penati, tanto cari al popolo romano come lo sono oggi in tutti i popoli e nel Cristianesimo medesimo. Si inizia a considerare come superstizione, con valenza negativa, un culto non cristiano da opporre alla valenza positiva che ha invece la religio. Ed i propri cari scomparsi non potevano essere accettati dal Cristianesimo primitivo come culto perché tale Cristianesimo era interamente basato sulla favola dell'immediato mondo nuovo che avrebbe promesso Gesù con la resurrezione di tutti i defunti. Insomma sarebbe servito dimenticare i penati per reintrodurli allegramente. La superstizione diventa ciò che di pagano continua a vivere nella nuova religione, la cristiana. E' cosa esecranda, negativa, perché è un ricorrere ad un falso Dio, quello pagano, anziché al vero, quello cristiano.
Ma Lattanzio è noto anche per un'altra operazione che, nelle intenzioni, doveva essere apologetica del Cristianesimo e che, molti secoli dopo, nel Mille e Cinquecento, darà origine a dottrine esoteriche come quelle ermetiche.
L'ERMETISMO
Apro una breve parentesi sugli effetti provocati da alcune cozse sostenute da Lattanzio. Il termine ermetismo deriva da un presunto autore chiamato Hermes Trismegisto. L'Hermes è il Mercurio latino e Trismegisto vuol dire "tre volte grande". Chi è ? Alcuni hanno costruito la leggenda che farebbe risalire il personaggio al Dio egiziano Thoth. In ogni caso la leggenda collocherebbe Hermes cronologicamente prima di Mosè. Queste leggende erano già state smontate intorno alla metà del 1600 da Isacco Casaubon al quale fa chiaro riferimento G. Vico circa un secolo dopo, ma il modo con cui le presunte opere di Hermes arrivarono nel dibattito culturale del '500 facevano di esse una vera e propria rivelazione. Ed il tutto a seguito di approfondite disquisizioni iniziate proprio dai Padri della Chiesa e consimili, come Lattanzio e Sant'Agostino (del quale mi occuperò subito dopo). Cerchiamo di capire i termini della questione.
Come iniziato ad insinuare da Isaac Casaubon (1559-1614) e dimostrato definitivamente nel 1949 da A. J. Festugière, i testi di Hermes Trismegisto (raccolti in due opere principali: "Corpus Hermeticum" e "Asclepius") risalgono al 1º/3º sec. dopo Cristo e non hanno un qualche contenuto di novità. Essi, realizzati non da uno ma da vari autori, probabilmente greci (i manoscritti di cui dispose Ficino erano in lingua greca), mescolano e sovrappongono vari contributi e consistono in una sorta di compendio della filosofia greca volgarizzata con particolare riferimento al pensiero platonico, neoplatonico e stoico. Naturalmente, data l'epoca in cui si presume siano stati elaborati, tali scritti leggono i contributi originali attraverso la lente di vari secoli trascorsi con intersezioni culturali molto forti tra cui elementi di cultura persiana, ebraica (con il potente influsso di motivi cabalistici) ed addirittura protocristiana. Il periodo in oggetto era del massimo splendore dell'Impero di Roma. La pace regnava ovunque (con scaramucce ai confini). La cultura, che si era alimentata di quanto i greci avevano in sommo grado prodotto ristagnava, risultando la filosofia una ripetizione pedissequa e sempre meno interessante dei temi svolti secoli prima, anche perché non sollecitata da questioni di tipo applicativo a seguito di quella ineluttabilità (riconosciuta sia da Aristotele che da Platone) della schiavitù. Proprio questa situazione di stallo del pensiero poneva i pensatori del tempo alla ricerca di qualcosa che rispondesse a ricerche che non erano tanto di ordine materiale quanto "spirituale". E così ebbero ampio sviluppo esoterismi, misticismi ed anche arti che oggi chiameremmo magiche ma con un significato da specificare (come vedremo). È una ricerca del posto dell'uomo nel cosmo.
Se ci spostiamo ora nel '500 ed osserviamo che vi è una analoga ricerca, che si ha una idea del mondo in cui occorre un ritorno verso le epoche in cui tutto era "meno corrotto" e la vita era più vicina agli ideali di perfezione e "salvezza dell'anima", scopriamo che vi è una enorme ricettività per scritti di tale genere.
È evidente che la questione della datazione delle opere di Hermes assume somma importanza perché se tali testi sono situati in un epoca che precede Mosè assumono il ruolo di libri in qualche modo profetici. Se situati nella loro vera epoca sono poveri compendi di fatti noti e mal digeriti.
Fu proprio Lattanzio che volle assegnare a tali testi una sorta di premonizione "pagana" del Cristianesimo ricercando in vari passi episodi accaduti e ritrovando le espressioni chiave del Cristianesimo (il Dio Padre, il Figlio di Dio, il Verbo). Stessa cosa, dal punto di vista della datazione, fece Sant'Agostino che però poneva delle riserve di tipo teologico. Anche qui, tentiamo di capire. Nei testi di Hermes si sviluppano dei dialoghi tra "iniziati" e aspiranti ad entrare nel mondo della sapienza, che non è fine a se stessa ma strumento indispensabile per la salvezza. Il maestro riesce sempre a creare situazioni in cui il discepolo raggiunge una sorta di estasi perché si avvicina a quella conoscenza che facilmente è assimilata da Lattanzio a Dio. Il discepolo, osservando il mondo attraverso il suo spirito, riesce a dominarlo e quindi a vincere le volgari forze terrene per aspirare a congiungersi con la divinità. È facile qui ritrovare la Resurrezione e la salvezza di tutti coloro che credono nel messaggio evangelico ed è altrettanto facile intendere come nell'epoca di Lattanzio servano argomenti a sostegno del Cristianesimo (ed in tal senso niente di meglio che trovare in pretesi profeti l'annuncio di ciò che poi si ritroverà nei Vangeli che, tra l'altro, vedevano la luce poco tempo prima ed alcuni in contemporanea).
La datazione interviene qui a sostenere una tesi di interesse. Tutto ciò che è antico è puro. Il tempo corrompe le cose. Occorre riconquistare la purezza attraverso la saggezza degli antichi che avevano possibilità molto superiori alle nostre di avvicinarsi alla perfezione di Dio. Inoltre tutti gli antichi sapienti greci avevano visitato l'Egitto che viene riconosciuto come fonte di ogni sapere e proprio in quel Paese viene situato Hermes. In questo i testi di Hermes erano perfetti perché, se da una parte parlavano di un Dio che creava l'uomo, dall'altro affermavano la possibilità dell'uomo di creare Dio (e qui nasceva il punto su cui Sant'Agostino mostrava completo disaccordo ma che non turbava Lattanzio che leggeva quei brani con differenti interpretazioni). Sarebbe lungo e complesso spiegare il tutto ma, ai nostri fini, basta osservare che, attraverso pratiche astrologiche, alchemiche ed in generale "magiche", gli antichi egiziani sarebbero stati in grado di dar vita a delle statue (statue di dei) infondendogli lo spirito attraverso una serie di pratiche che prevedono manipolazioni di erbe, pietre e aromi. Queste pratiche, che anticamente si svolgevano nei sotterranei dei templi, erano le pratiche di pochi, degli eletti, degli iniziati.
Ritorniamo di nuovo nel '500 e trasferiamo lì questa ansia di riscoperta di un mondo migliore, della perfezione, dell'avvicinamento a Dio, del ritorno al Paradiso Terrestre e troviamo Cosimo dei Medici (il vecchio) che incarica Ficino di tradurre prima Hermes (opera portata in Italia dalla Macedonia per merito del frate Leonardo da Pistoia che la affidò a Poliziano) e solo dopo l'opera di Platone, pur disponibile (solo questo dovrebbe essere un indice dei livelli di priorità che si avevano in pieno Rinascimento all'interno di una delle corti più evolute culturalmente).
Hermes irrompe quindi come un sacerdote o dio egiziano, un profeta realmente esistito e preannunciante, dall'alto della sua sapienza, la "vera" religione, quella cristiana. Anche tutte le cose meravigliose che risorgevano dalle traduzioni di opere greche erano all'interno del Corpus Hermeticum che, come detto, solo raccoglieva ciò che era conoscenza diffusa nell'epoca in cui era stato scritto ma che suonava come una cultura molto più antica che aveva raggiunto estremi gradi di perfezione. Gli stessi Platone ed Aristotele avevano attinto da lì ! [Per approfondire e capire come si sono sviluppati gli eventi vedi qui].
Si può comprendere come alcune questioni apparentemente minori possano creare dei disastri culturali che, come in questo caso, hanno necessitato oltre 1000 anni prima di essere culturalmente (ma non nella cultura quotidiana) sistemate.
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